Il Teatro alla Scala di Milano apre la stagione 2020/2021 in modo inusuale ma centra l’obbiettivo sfoggiando tutta la professionalità e capacità di un grande teatro.
Milano, 7 Dicembre 2020. Ventiquattro cantanti di grande caratura si sono avvicendati sulle note di Verdi, Donizetti, Puccini, Massenet e Rossini, negli ampi spazi creati per questa occasione unica al Teatro Alla Scala di Milano.
Eravamo molto scettici sul risultato di questo spettacolo annunciato dal Teatro dal titolo dantesco “A riveder le stelle”, in quanto si prospettava un arduo e faticoso incastro di arti musicali, canore e visive, ma si è rivelato un bellissimo contenitore artistico, cucito con abilità sartoriale su misura per il Teatro e la Tv, andato in onda il 7 Dicembre 2020 su Rai1.
Davide Livermore, che ne ha firmato la regia, è geniale nel mettere insieme sul palcoscenico opera, cinema, teatro, balletto. In quasi tre ore di spettacolo non ci si è mai annoiati, anzi, totalmente rapiti dalla cura nei dettagli che hanno unito tutte le perfomances.
In tempi di Covid naturalmente niente pubblico in sala, sostituito interamente dall’orchestra posizionata in platea, e dal coro sui palchi; il palco interamente dedicato ai cantanti ed alle scenografie e proiezioni (D-Wok), con ampio spazio visivo e tante allusioni al cinema e alla pittura.
Scenografie mai banali, anche se riviste temporalmente e riprese da alcune produzioni precedenti, ma che non distraevano nonostante il forte impatto visivo, incastonate in quadri scenici che, con elementi ben scelti, rimandavano appunto alle varie opere dalle quali sono stati estratti i brani e le arie più significative.
Come sempre sui social non sono mancati i commenti negativi anche per questo evento in Mondovisione, per il quale però nulla si può eccepire sul lato canoro, orchestrale e registico, soprattutto per il significato intrinseco che ha avuto in questo momento, con la chiusura dei teatri, una pandemia inarrestabile e l’incertezza che serpeggia per il futuro. Annunciato come diretta televisiva però ci si accorge che era in differita sin dall’inizio, infatti non abbiamo ascoltato il duetto dalla Walkiria di Wagner che era in programma. Forse per gli stretti tempi televisivi, un vero peccato.
Certo, tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero, ma riteniamo che in un momento come questo trovare per forza “difetti” a una rappresentazione come questa sia del tutto fuori luogo, e, al contrario, da applaudire e ammirare. Quando ci capiterà un’altra occasione del genere, ed ascoltare voci così importanti riunite tutte insieme nello stesso momento?
La Scala è sempre la Scala, ed anche questa volta ha saputo far parlare di sé. La prima di stagione per Sant’Ambrogio è un rito per molti ormai, e anche se è mancato l’aspetto folcloristico con i vip, i gioielli e le pellicce, e soprattutto gli applausi di un folto pubblico, ci siamo comunque goduti un gala che ricorderemo a lungo.
Voci femminili incredibili quelle di Sonya Yoncheva, Lisette Oropesa, Rosa Feola, Marina Rebeka, Kristine Opolais, Elīna Garanča, Aleksandra Kurzak, Marianne Crebassa, Eleonora Buratto, le quali, hanno sfoggiato abilità canore meravigliose, fresche, impeccabili, spaziando da acuti sfavillanti a note medio gravi molto controllate ed emozionanti. Grazie a loro anche la moda si esibisce con l’occasione: tutte erano infatti vestite con sontuosi abiti firmati Armani, Dolce&Gabbana, Valentino, Curiel, Gianluca Capannolo e Marco De Vincenzo. Abiti che si sono perfettamente integrati con i costumi di scena storici appartenenti alla collezione del Teatro.
Non da meno il comparto maschile con protagonisti del calibro di Piotr Beczala (che ha sostituito Jonas Kaufmann indisposto), Juan Diego Flórez, Ludovic Tézier, Carlos Alvarez, uno splendido Benjamin Bernheim, George Petean, un superbo Ildar Abdrazakov. Unici cantanti italiani sul palco Luca Salsi, Vittorio Grigolo, Francesco Meli, Roberto Alagna, Mirco Palazzi e la già citata Eleonora Buratto, i quali hanno avuto un ruolo non facile: quello di rappresentare l’Italia su quel palcoscenico.
Tra i big del canto anche Placido Domingo, che tuttavia non sappiamo più in che ruolo collocare. Ma nelle nostre memorie rimarrà sempre un grande tenore.
Riccardo Chailly sul podio ha diretto con grande trasporto un’orchestra impeccabile. Anche se la disposizione non usuale in platea poteva portare qualche problema tecnico, in quanto il Maestro dava le spalle al palcoscenico, tutto è andato liscio. Risultato comunque praticamente scontato con professionisti di questo spessore: tutto era al posto giusto, tempi perfetti, fraseggi curatissimi, cura dei minimi dettagli. Un plauso va a tutti gli orchestrali per le emozioni che sono riusciti a far arrivare al pubblico, pur attraverso l’etere.
Cento anni di musica nel programma scelto da Chailly con le arie più rappresentative del repertorio italiano e non, dal Don Carlos al Ballo in maschera, da Lucia di Lammermoor al Don Pasquale, dalla Madama Butterfly a Turandot per arrivare all’Andrea Chénier e Werther, per le quali Gianluca Falaschi ne ha curato i costumi.
Molto interessanti anche i momenti dedicati al ballo con un Roberto Bolle in ottima forma che esprime la sua arte moderna in maniera tecnologica sulle note di Davide “Boosta” Dileo e Erik Satie, e Nicoletta Manni in coppia con Timofej Andrijashenko sulle note del Gran Pas des deux dallo Schiaccianoci di Čajkovskij.
Insieme al direttore sul podio, hanno collaborato all’ottima resa della rappresentazione anche gli altri “direttori”: Michele Gamba per i balletti, Manuel Legris per il corpo di ballo, Bruno Casoni per gli artisti del coro.
Il tutto intervallato da bellissime perle narrative, sinceramente emozionanti, affidate a Maria Chiara Centorami, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Alessandro Lussiana, Laura Marinoni, Michela Murgia, Caterina Murino, Sax Nicosia, Massimo Popolizio, Maria Grazia Solano, Marouane Zotti.
Bastavano questi nomi appena citati a introdurre, presentare e chiudere il programma ed avremmo potuto decisamente fare a meno di una scontatissima Milly Carlucci in coppia con un attempato Bruno Vespa, i cui ruoli sono stati del tutto inutili.
Insomma di “stelle” ne abbiamo viste tante e tutte insieme. Con i suoi versi possiamo definire “profetico” il sommo Dante, sotto alcuni punti di vista, ma contiamo sia di buon auspicio per un futuro che ci riporti alla normalità ed a ripopolare presto i teatri per godere dal vivo della musica. Che sarà sempre il patrimonio più importante della magnifica cultura italiana ammirata da tutto il mondo.
Salvatore Margarone
La recensione si riferisce allo spettacolo del 7 dicembre 2020
Photo©TeatroallaScala