E’ Anna Netrebko la vera star per il Trovatore di G. Verdi andato in scena il 29 Giugno 2019 all’Arena di Verona.
Con il marito, il tenore Yusif Eyvazof, Anna Netrebko calca per la prima volta il palcoscenico dell’Arena di Verona, ed è subito clamore mediatico.
Il soprano russo, di fama mondiale, è la “Cenerentola” degli anni duemila per la sua storia. Scoperta nel 1994 tra le addette delle pulizie dell’impresa che lavorava per il teatro dell’Opera di Kirov da Valery Gergiev, allora direttore, venne lanciata sul palcoscenico nel ruolo di Susanna ne Le Nozze di Figaro. Da allora la carriera di Anna Netrebko prese ufficialmente il via, con tournée in tutto il mondo che la vide protagonista di ruoli e interpretazioni sempre più prestigiosi che ne consolidarono la fama planetaria. Oggi, in coppia con il marito Yusif Eyvazof, sono considerati “la coppia d’oro” dell’opera, non solo per lo spessore artistico ma per il glamour che ruota attorno alla stessa. Molte infatti sono le grandi firme della moda che li richiedono come testimonial. Anna Netrebko è considerata l’ultima diva del melodramma per le sue doti canore dalla critica mondiale, il cui finale è tutto ancora da scrivere.
Ma veniamo alla serata. Sul palcoscenico ritroviamo l’allestimento del 2001 di Franco Zeffirelli, con la grande torre e le grandi armature sulla scena che trasformandosi aiutano il dipanarsi della storia del Trovatore tra finzione e realtà. Ripresa da Michele Olcese, l’imponente scenografia è al contempo funzionale ed offre, ogni volta che viene riproposta, nuovi spunti e dettagli da cogliere.
C’è da dire che manca comunque del sapore zigano che in Trovatore è fondamentale. A parte la folla che calca le scene, anche in maniera forse troppo confusionaria, questa è l’unica traccia che rimanda al mondo degli zingari, fatto di gruppi caciaroni e dubbiosa moralità, così è l’entrata in scena del coro degli zingari al primo atto.
Il Trovatore è l’unica opera verdiana in cui ritroviamo il macabro, la rievocazione della caccia alle streghe risalenti al medioevo che sono un fil rouge nella storia complicata dell’opera. Ritroviamo il nobile Conte di Luna, lo scanzonato e amoreggiante Manrico, la strega fattucchiera Azucena e la leggiadra ed elegante Leonora. Tutti questi personaggi sono legati nella storia da amore e odio, per non parlare della vendetta. Verdi in questo è stato un genio nel musicare con tinte ora fosche, ora eteree, questo libretto che fu portato a termine da Bardare, un allievo dello stesso Cammarano. La musica quindi è pensata proprio sulla complessità della trama e sulla narrazione stessa della storia, narrazione che è incentrata sulla figura femminile di Azucena, in primis, al tempo stesso madre amorevole, figlia vendicatrice, personaggio visionario e tormentato, e sulla rievocazione del ricordo che tutti i personaggi con le loro arie di sortita cantano, rievocando ognuno le loro storie.
Azucena, infatti, vive un doppio dramma: la vendetta promessa alla madre, straziata dalle fiamme del rogo, e il suo affetto materno verso Manrico. Rispetto agli altri personaggi, che appaiono convenzionali nel classico triangolo amoroso del melodramma italiano, Azucena si esprime con un linguaggio musicale diverso. Già la sua apparizione è anticipata dal famoso “coro delle incudini”, vero capolavoro pittoresco in musica: gli zingari cantano un grottesco e “notturno” canto popolare. Segue l’aria di danza della vecchia zingara, Stride la vampa, che unisce l’imitazione del linguaggio a una situazione tragica: la rievocazione del rogo in cui morì la madre. Ancora più drammatico è il racconto che fa Azucena a Manrico in cui descrive la morte della madre, con il grido “Mi vendica!” la promessa di vendetta e la disgrazia di aver bruciato vivo il proprio figlio. Tutti questi elementi compaiono in Antonio García Gutiérrez, l’autore spagnolo de El Trovador da cui è tratta l’opera verdiana, ma la potenza della musica di Verdi sottolinea e rinforza la drammaticità del suo personaggio.
Solo Verdi è riuscito a comporre un tale capolavoro che del trittico cosiddetto popolare, assieme a Traviata e Rigoletto, forse è il più riuscito per l’intreccio lirico musicale.
Quindi ecco che i colori del fuoco, della terra, sono elementi che la fanno da padrone sulla scena e che vengono ripresi anche nei bei costumi di Raimonda Gaetani, coloratissimi per gli zingari e cavallereschi per i protagonisti, rievocando la Biscaglia e l’Aragona, all’inizio del XV secolo, dov’è ambientata l’opera.
Quest’anno l’Arena di Verona porta sul palcoscenico nomi illustri del canto: Anna Netrebko nei panni di Leonora, Yusif Eyvazof nel Trovatore Manrico, Luca Salsi interpreta il Conte di Luna e Azucena è Dolora Zajick.
Anna Netrebko, che negli anni è stata considerata una delle migliori interpreti di questo ruolo, non delude certamente le aspettative in questo suo debutto areniano. La sua voce potente è musica per le nostre orecchie, non si risparmia vocalmente lanciando i suoi acuti nella cavea scaligera, tanto meno nel centro-grave della voce. E’ la sua personale Leonora questa, tanto leggiadra e ricercata, in cui la sua possente voce è importante e non necessita di affondi marcati sul registro grave. Anche gli acuti, puntatissimi e ben proiettati, sono accarezzati da bellissimi filati di voce eseguiti con grande maestria e raffinatezza d’altri tempi. Molto bene la sua aria di apertura “Tacea la notte placida”, ma è con “D’amor sull’ali rosee” che cattura del tutto il pubblico estasiato che si scatena in un applauso con ovazioni alla fine, per la sua mirabile interpretazione ed un uso del materiale vocale che le ha permesso di mettere in campo un fraseggio ineguagliabile. Cinque minuti di applausi con richiesta di bis, che non è stato concesso, ha paralizzato letteralmente il prosieguo. La Netrebko, da vera star, inondata dalle ovazioni, si è inginocchiata per ringraziare il pubblico che la osanna, consacrandola tra le grandi interpreti del nostro tempo.
ll Conte di Luna è interpretato da Luca Salsi. Bravissimo a porgere il canto sulla parola e a dare la giusta intenzione ed accentuazione ritmica alla stessa, senza mai forzature sulla voce. Il suo Conte è elegante, importante e convincente, grazie ad una voce baritonale duttile e timbrata, ma anche ad una presenza scenica di notevole pregio.
Anche il Manrico di Yusif Eyvazof è ottimo. Bello squillo nella voce, buono il fraseggio, tratteggia così un Trovatore eroico e innamorato della sua Leonora al suo ingresso fuori scena con “Deserto sulla terra”, la baldanzosa ballata notturna, continuando poi con l’esplosione vocale vera e propria con “Di quella pira l’orrendo foco”. Molto migliorato vocalmente ed anche sul piano interpretativo un elogio va fatto per il finale dell’opera, dove lo ritroviamo affranto dalla cruda verità e del catastrofico finale che lo vede protagonista nel duetto finale con Azucena “Ai nostri monti ritorneremo”.
Quest’ultima, la grandissima Dolora Zajick, ha portato a termine l’ennesima recita con la maestria che la contraddistingue. E’ stata, nel tempo, una delle migliori interpreti di Azucena, ma pur avendo avuto dei bei momenti, in questa serata non possiamo esimerci dal dire che qualche problema non ci sia stato, mancando alcuni acuti ed imprimendo un marcato affondo nel registro grave della voce che è poco omogeneo ormai con quello medio acuto. Ma in una serata come questa, anche gli evidenti problemi vocali passano in secondo piano, godendoci invece il bello che ha saputo offrirci ancora una volta, interpretando fino alla fine uno dei suoi cavalli di battaglia.
Bene anche il resto del cast a partire da Riccardo Fassi (Ferrando), a cui è affidata l’apertura dell’opera con il racconto rievocativo della tragica morte della zingara, madre di Azucena, “Abbietta zingara, fosca vegliarda!”; la Ines affidata ad una corretta e calibrata Elisabetta Zizzo; ottimo il Ruiz di Carlo Bosi che spicca per la bella e chiara vocalità, così come il vecchio zingaro di Dario Giorgelè e un messo di Antonello Ceron.
L’Orchestra della Fondazione Arena di Verona in piena e smagliante forma, è stata diretta per questa prima da Pier Giorgio Morandi, che ha saputo ben calibrare colori e respiri con il palcoscenico nei momenti di maggiore lirismo, dando il giusto spazio ai cantanti che così hanno potuto esprimersi al meglio, senza fretta, ed avendo il tempo di portare a termine la loro visione musicale. Anche con il Coro, guidato in maniera ineccepibile da Vito Lombardi, Morandi ha dato prova di grande professionalità, grazie alla prontezza degli artisti sul palcoscenico che, come sempre, rispondono ai comandi del podio e svettano imponenti e coesi con voci sempre più sorprendenti.
Le coreografie sono di El Camborio, riprese da Lucia Real, e il ballo è coordinato da Gaetano Petrosino. Molto bene anche la scena del duello curata dal Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco impartendo con maestria le giuste coordinazioni.
Altre recite sono previste il 4 ed il 7 luglio con questo cast, mentre il secondo cast, che vedrà tra i ruoli principali Anna Pirozzi, Alberto Gazele, Violeta Urmana e Murat Karahan, salirà sul palcoscenico il prossimo 20 e 26 luglio 2019.
In conclusione, una serata questa che passerà alla storia come una delle migliori esecuzioni ad oggi del Trovatore in Arena, che è stato acclamato ed osannato da un pubblico in piedi con fragorosi applausi, meritatissimi, per tutti gli artisti.
Salvatore Margarone
Photo©Ennevi/Fondazione Arena di Verona
La recensione si riferisce alla prima del 29 Giugno 2019.