Recensione di ‘La Cenerentola’, in scena a Trieste dal 26 aprile al 5 maggio 2024
‘La Cenerentola’ è il nuovo titolo proposto dalla stagione triestina.
Un pubblico numeroso e festante a fine spettacolo testimonia il successo di questo spettacolo, che segna il ritorno sul podio, a poche settimane dal successo di ‘Ariadne auf Naxos’ del direttore musicale stabile del Verdi: il Maestro Enrico Calesso, bacchetta fra le più interessanti della sua generazione, che anche in questa occasione riesce a mettere in risalto le potenzialità dell’ orchestra del Verdi , in forma smagliante.
Il Maestro Calesso ha offerto una lettura molto attenta, che punta a pulire la partitura da tutte quelle sovrastrutture, frutto della cattiva consuetudine , dell’eccesso di abbellimenti e variazioni che hanno trasformato spesso quest’opera, raffinata ed interessante, in una palestra per virtuosismi vistosi.
Da subito si coglie la visione del direttore: la Sinfonia iniziale ci abbaglia per il lavoro di cesello sui singoli strumenti, gli stacchi purissimi, il crescendo costruito con misura, senza sbavature ed eccessi, che coinvolge il pubblico che viene preso dall’autenticità narrativa .
Minuzioso il lavoro sui cantanti, sostenuti nelle grandi arie ed accompagnati con bravura nei numerosi e decisamente complessi pezzi d’insieme, come l’emozionante quintetto ‘Nel volto estatico’. Un magnifico lavoro di coordinamento, che non ha mai sacrificato né il senso della frase, né il lavoro sulla singola parola, che, come deve essere in Rossini, è centro del canto e che ha coinvolto il pubblico che ha saputo apprezzare l’impegno profuso, tributando amplissimi applausi al Maestro, sia durante che a fine spettacolo.
Il coro, presente con le sezioni maschili, diretto dal Maestro Longo, pur con qualche disomogeneità ed un volume alle volte eccessivo, risulta all’altezza della situazione.
Visivamente la direzione del Verdi ha scelto uno spettacolo di grande impatto, con la regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi , che è omaggio al grande Lele Luzzati.
Al dischiudersi del sipario ci appare un teatro nel teatro, con una cornice di palchetti rossi abitati dai personaggi tipici di questo pittore eclettico.
Dentro questa scena, una serie di agili strutture danno vita ad uno scorcio del giardino, la cucina di don Magnifico, il salone del palazzo .
Soluzioni piacevoli ed efficaci, che non provocano pause alla narrazione.
Qualcuno ha storto il naso per i movimenti del coro e certe caratterizzazioni, ma in realtà siamo davanti ad un lavoro rigoroso, ricco di preziose sfumature: i coristi si muovono come i personaggi dei cartoni animati di Luzzati; i telefoni erano elemento ricorrente, per esempio, nella serie dei pulcinella; analogamente i giocatori di tennis, guarniti di una parrucca arancione effettivamente stonata, riprendono sia una celebre serie di serigrafie, che un cartone che ha commosso generazioni di bambini.
Ad impreziosire, ci sono i piacevoli video di Giuseppe Ragazzini ed i riusciti costumi ripresi da Nicoletta Ceccolini , in una autentica operazione culturale di grande spessore, si articola su tanti piani paralleli, a sottolineare la volontà di non cedere in quegli stereotipi che troppe volte hanno ammorbato il lavoro rossiniano, declinando una vicenda di grandi valori come fosse una storia per bambini.
Veniamo quindi alle voci.
Matteo D’Apolito, Alidoro, mostra una voce ben impostata, porta con misura ed eleganza. Pur non contando su uno strumento particolarmente potente riesce a costruire con sicurezza il ruolo ed ad eseguire in modo riuscito le sue arie, in particolare ‘Là del ciel nell’arcano profondo’, cantata con garbo e premiata dagli applausi.
Federica Sardella e Carlotta Vichi sono le due sorellastre. Buffe, maldestre, una un po’ gobba, l’altra pasticciona, sono scenicamente deliziose e vocalmente adeguate.
Dave Monaco ha cantato la parte complessa di Don Ramiro, superando le difficoltà che farciscono questo ruolo.
Un volume piuttosto esile, ma una estensione ampia gli hanno consentito di tratteggiare un principe credibile, forse più attento alla partitura che alla parola, ma certamente apprezzabile.
Carlo Lepore è un Don Magnifico ideale: comunicativo, spiritoso, divertente, mai scontato o volgare, attento a gesti, prezioso nelle sfumature . Non si perde una sola parola di quello che canta, ed ogni termine viene pastellato dalla giusta sfumatura, dall’adeguato accento, anche grazie ad uno strumento dai moltissimi colori, unita ad acuti pieni e solidi .
Certamente siamo davanti al massimo basso buffo oggi sulle scene, che trova la spalla ideale in Giorgio Caoduro, con il quale offre vere lezioni di canto rossiniano, come ‘Un segreto d’ importanza’.
Caoduro ritorna al Verdi dopo una dozzina d’anni e questa distanza ha realmente penalizzato il pubblico negandogli di godere di uno degli artisti più sensibili e dotati, sia vocalmente che musicalmente, oggi sulle scene.
Ha la capacità di incantare con la voce, ma anche con una recitazione da fuoriclasse, nella quale entrano in gioco espressione del volto, postura del corpo, sguardi, i gesti delle mani, il modo di aggiustarsi la giacca, di farsi sempre più curvo man mano che ritorno agli incarichi più umili.
Ogni parola è scavata nel significato, ogni frase viene assimilata e proposta nel suo valore.
Niente è per caso, ma nulla risulta artefatto.
Dal punto di vista musicale, può esibire, senza mai cadere nell’errore dell’ostentazione fine a se stessa, una tecnica infallibile, una estensione vastissima e molto solida, che spazia dal registro del basso alle note alte del baritono. Incantano la tavolozza di sfumature , il rincorrersi delle sfumature, i fiati potenti e gli acuti stentorei, buttati là come se fossero la cosa più naturale possibile.
Il piacere della bravura, regalata e condivisa, senza bisogno di inutili sottolineature e di effetti ad effetto.
Non è da meno Laura Verrecchia .
Abbiamo potuto ascoltarla in queste stagioni in ‘ I Capuleti e i Montecchi’ ed ‘Anna Bolena’ e questo ruolo rossiniano, per certi versi lontano da quei modelli, appare come un nuovo interessante tassello di una carriera decisamente in crescita.
Anche in lei gustiamo il bel lavoro sul testo, che è nota distintiva del suo stile, che le consente già dall’iniziale ‘C’era un re’ di presentare una Angelina dal forte carattere.
Non una fragile fanciulla, ma una donna che ha imparato dalla vita a non credere nella vendetta, protagonista delle scelte che fa, indisponibile a subire, anche se pronta ad obbedire per rispetto del padre.
La sua voce è ricca di sfumature brunite di grande suggestione, che bene descrivono l’ubbidienza, la delusione, la voglia di riemergere, la determinazione, ma anche la scelta del perdono, il valore degli affetti autentici.
Soprattutto la verità di una parte che appare moderna e di grande spessore.
Il giovane mezzosoprano può contare una estensione ampia, acuti sicuri e dal volume imponente ed un colore affascinante, una tecnica sicura ed una sensibilità commovente.
Alla fine tanti applausi per tutti, con autentiche ovazioni per Lepore, Verrecchia, Caoduro e per il Maestro Calesso.
Gianluca Macovez
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2023-24
“La Cenerentola”
di Gioachino Rossini
Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti
Maestro Concertatore e Direttore ENRICO CALESSO
Regia PAOLO GAVAZZENI e PIERO MARANGHI
Costumi ripresi da NICOLETTA CECCOLINI
Contributi video a cura di GIUSEPPE RAGAZZINI
Scene e costumi ispirati all’allestimento di EMANUELE LUZZATI
Maestro del Coro PAOLO LONGO
Allestimento della FONDAZIONE TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA
Personaggi e interpreti
Angelina LAURA VERRECCHIA
Don Ramiro DAVE MONACO
Don Magnifico CARLO LEPORE
Dandini GIORGIO CAODURO
Alidoro MATTEO D’APOLITO
Tisbe CARLOTTA VICHI
Clorinda FEDERICA SARDELLA
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Allestimento della FONDAZIONE TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA
Trieste, 28 aprile 2024