Dall’Impresario teatrale al Sovrintendente degli Enti Lirici
La figura dell’Impresaio nel ‘600 , nel ‘700, fino alla sua scomparsa nel’900 con l’avvento del Sovrintendente
Con il termine Impresario, in ambito musicale, si intende l’attività di organizzazione artistico-amministrativa (a proprio rischio finanziario) di spettacoli o di giri concertistici.
La nascita della figura dell’Impresario nell’opera risale all’avvento in Italia dei primi teatri pubblici, nel quale la rappresentazione lirica, da trattenimento patrizio qual era stata fin ad allora, fu resa accessibile a chiunque acquistasse un biglietto d’ingresso.
Ciò accadde per la prima volta a Venezia nel 1637, quando la famiglia Tron, proprietaria del Teatro di San Cassiano, affittò la sala (ad esclusione dei palchi) ai capocomici di una compagnia lirica romana, al librettista B. Ferrari e al cantante e compositore F. Manelli, che vi allestirono con successo la loro Andromeda.
Consolidata la nuova attività con La Maga fulminata (1638), il Manelli passò al Teatro SS. Giovanni e Paolo, cedutogli dalla nobile famiglia Grimani, il Ferrari invece al San Moisè. Nel 1699, ben sedici teatri a Venezia erano aperti al pubblico pagante e gestiti in forma impresariale.
Il sorgere di teatri musicali pubblici nelle principali città italiane, durante la seconda metà del ‘600 (Bologna 1640, Napoli 1671, Roma 1671), definì gradualmente anche la figura dell’Impresario, sostituendo alla semplice gestione degli interessi della compagnia, su procura di quest’ultima (come era stato per Ferrari e Manelli), una piena e autonoma capacità d’iniziativa, alle cui dipendenze l’intera compagnia era collocata, tramite un rapporto di scrittura.
Anche la cessione parziale del teatro fu presto sostituita dall’affitto: già nel 1675 il San Cassiano fu locato dai Tron per un decennio all’impresario M. Faustini.
Interlocutori dell’Impresario, sotto questo profilo, divennero sempre più spesso, nel ‘700, le società di nobili e le municipalità, che iniziarono a costruire teatri per cedere poi in appalto il diritto di tenervi stagioni liriche. E la stessa via seguirono i teatri di corte, sia pure sotto il controllo di organi di nomina governativa. La formula del contratto d’appalto non prevedeva corresponsione d’affitto da parte dell’impresa, ma pieno rispetto del numero e del tipo di opere da rappresentarsi, della quantità di recite e di una serie di altre condizioni a tutela della dignità artistica del teatro. Veniva altresì prevista, laddove maggiori erano le pretese di sontuosità delle messinscena e di notorietà degli artisti scritturati, una dote, o sovvenzione, elargita dalla proprietà all’appaltatore, ove si riconoscesse l’impossibilità di raggiungere il pareggio finanziario coi soli introiti dei biglietti. L’impresa doveva anche considerare i ricavi della vendita dei libretti di sala, candele e dolciumi.
Infine, vi era anche un altro particolare in molti teatri italiani non da sottovalutare, la più ragguardevole entrata finanziaria che proveniva dalla gestione del gioco d’azzardo, nelle sale dei ridotti.
Tra il ‘600 ed il ‘700 tra impresari e proprietà non si raggiunse quasi mai una fusione tra i due, ma ricordiamo che ad esempio a Pavia, Padova, Treviso e Novara, società di nobili o di palchettisti gestivano direttamente i loro teatri, mentre a Napoli, nel 1724, l’impresario A. Carasale intraprese personalmente la costruzione del Teatro Nuovo.
Il modesto livello artistico e la mancanza di scrupoli che frequentemente caratterizzarono gli impresari nel ‘700, lo resero oggetto di severe requisitorie e di satire , come quelle dovute a Muratori, Zeno, Metastasio, Calzabigi, Goldoni, ecc…
Dalla dissennata gestione economica nacque l’istituzione generalizzata di “deputazione” (o comitati) che aveva lo scopo di controllare in ogni teatro le finanze dell’impresa.
Con l’avvento dell’800, a seguito della rivoluzione francese, con l’avvento del liberalismo e la decadenza dell’aristocrazia, mutò il volto della figura dell’impresario.
Nacque e si sviluppò una vera e propria industria dello spettacolo, dominata da figure di eccezionale rilievo, come D. Barbaja, Lanari e Merelli, le cui organizzazioni superarono i confini nazionali, estendendosi nelle maggiori capitali europee.
Altro fenomeno importante, nella storia del melodramma ottocentesco, fu l’esplicita assunzione di ruoli impresariali da parte delle maggiori case editrici musicali (Lucca, Ricordi, Sonzogno), che si contesero i più prestigiosi palcoscenici (in primis quello della Scala) per usarli come trampolino di lancio delle opere di loro proprietà.
In seguito, con la statalizzazione dei teatri, già in atto in Francia e Germania nella seconda metà dell’800, insieme alla crescita, finanziariamente insostenibile da singoli, delle esigenze di un pubblico musicalmente più colto (nel ‘900), provocarono un tracollo della figura dell’Impresario d’opera, col passaggio all’ambiente del “mediatorato di talune funzioni storicamente da esso detenute”.
Da qui, il passaggio alla figura dei Managers (Usa ed Europa) o alla figura degli attuali Sovrintendenti degli enti lirico-sinfonici italiani è relativamente breve.
S.M.
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