In scena La Traviata di G. Verdi alla Fenice di Venezia lo scorso 12 giugno.
di Salvatore Margarone
Opera che in poco meno di tre ore di spettacolo riassume una vicenda che in realtà si svolge in quasi sei mesi di tempo, iniziando in piena estate (Agosto) e terminando in Febbraio (a Carnevale).
Un’opera di “tradizione” ma pur sempre attuale questa di Verdi che attira sempre il pubblico, com’è avvenuto anche in questa serata dove il teatro era tutto esaurito.
La produzione, con la regia di Robert Carsen, la conosciamo già da un po’, in quanto da circa due anni La Fenice propone questo allestimento che risulta essere molto fortunato e gradito dal pubblico, scene e costumi di Patrick Kinmonth e coreografia di Philippe Giraudeau, nella versione del 1854.
La Traviata fu composta da G. Verdi su libretto di F. M. Piave per la rappresentazione del 1853 al Teatro La Fenice di Venezia, ed insieme al Trovatore e Rigoletto, completa la “trilogia popolare” ed è delle tre la più intimista, quella in cui la psicologia della protagonista viene maggiormente sviscerata con esito quasi unico e senza eguali nella produzione teatrale dell’opera italiana.
Dopo un esordio non proprio felice, forse per gli interpreti scelti all’epoca che, a detta di Verdi, non erano all’altezza, fu in seguito rimaneggiata in qualche parte ottenendo l’anno successivo il meritato successo al Teatro San Benedetto.
Il fulcro dell’opera si basa sulla contrapposizione fra la vita mondana e quella domestico-borghese: Violetta dà scandalo perché il suo gesto d’amore oltrepassa i limiti che l’ipocrisia borghese conferisce al suo ruolo di donna di mondo. Questa complessità del personaggio principale ha spinto Verdi ad una caratterizzazione sonora fra le più composite, e, di conseguenza, interpretativamente ardue della storia del melodramma.
Fortunatamente la prima donna in questa serata è stata capace di rendere sia vocalmente che scenicamente la Violetta verdiana: Irina Dubrovskaya è stata convincente sin dal primo atto dove, sfoggiando le sue fioriture di agilità, irrompe sulla scena in una “donna verdiana” in maniera unica.
Proprio nei differenti modi di approcciarsi ai tre atti, di cui l’opera è costituita, con la sua bella voce cristallina e ricca di armonici, bella presenza scenica e semplicità, fuggendo da facili riproposizioni in vecchio stile, incarna la Violetta perfetta, troneggiando, in questa produzione veneziana, sui suoi comprimari che risultano oscurati dall’accattivante magnetismo della sua voce.
Ottima anche la Irina attrice, che in Traviata è parte importantissima oltre alla voce, muovendosi con disinvoltura in palcoscenico e mai tralasciando lo sguardo al direttore d’orchestra ed al pubblico.
Un po’ sottotono invece Alfredo, interpretato da Fabrizio Paesano, la voce è bella ma piccolina per questo ruolo. Infatti molto spesso la sua voce veniva coperta dalla potenza della Dubrovskaya che, pur non esagerando mai nei volumi, sovrastava la voce aggraziata di Paesano.
Sicuramente se ci fosse stato un interprete con “voce” sarebbe stato uno spettacolo ancor più bello, tuttavia il pubblico ha gradito, tanto che lunghi sono stati gli applausi finali, con tanto di standing ovation anche dai palchi, cosa quest’ultima molto rara alla Fenice, dove il pubblico, pur se composto da molti turisti, è sempre molto esigente.
Molto convincente Giuseppe Altomare nei panni di Giorgio Germont, che, con la sua bella voce bruna, anche se al suo ingresso in scena è sembrato un po’ troppo irruento, ha reso molto bene il ruolo del padre. Il bel timbro, il bel fraseggio e un ottimo uso del fiato lo innalzano agli allori insieme alla Dubrovskaya; ben amalgamati i loro duetti del secondo atto.
Completavano il cast: Elisabetta Martorana (Flora), Sabrina Vianello (Annina), Iorio Zennaro (Gastone), Armando Gabba (il Barone Duphol), Francesco Milanese (Il dottor Grenvill), Matteo Ferrara (Il marchese d’Obigny), Roberto Menegazzo (Giuseppe), Giampaolo Baldin (un domestico di Flora), Salvatore Giacalone (un commissario).
La direzione orchestrale è stata affidata invece al M° Marco Palladin, che ha ben saputo calibrare volumi orchestrali e tempi, cosa quest’ultima non scontata, in quanto molto spesso si sentono invece volumi e tempi un po’ bizzarri da taluni direttori. Ottima quindi la sua direzione, attenzione al fraseggio musicale e ai cantanti.
In splendida forma l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice di Venezia , sempre precisi e ricchi di sfumature hanno supportato la meravigliosa partitura verdiana dall’inizio alla fine.
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