L’Opera: la crisi del XX secolo, cambia la struttura.
Alla fine di questo percorso storico dell’opera, ci soffermiamo sugli aspetti che hanno portato ad una profonda crisi la struttura dell’opera nella sua forma.
In quanto forma artistica, l’opera del XX secolo ha ereditato dalla letteratura e dal teatro moderni la tendenza a rappresentare personaggi comuni, degli uomini senza qualità, la cui autenticità è appunto legata alla loro assenza di funzione rappresentativa nella società. Essi appaiono spesso come persone declassate o emarginate. Il loro prototipo è Wozzek; Mélisande non ha provenienza e resta straniera all’ambiente di colui che ella sposa senza convinzione; Pelléas non parla d’altro che di andarsene. Come dice loro Golaud, “non siete altro che bambini”. Stolzius e Marie, ne I Soldati di Zimmermann, sono dei giovani immaturi, fragili, ingenui che non si integrano nel circuito sociale. I personaggi delle opere di Dallapiccola sono alla ricerca di se stessi.
Alcune figure sono addirittura senza nome, come la Donna di Erwartung oppure l’Uomo in Die glückliche Hand di Schömberg, l’emigrato in Intolleranza di Nono, il soldato dell’ Histoire du soldat di Strawinskij, e i numerosi protagonisti della Vera storia o la donna in Passaggio di Berio.
I personaggi principali non dominano più l’azione: la subiscono. Sono più vittime che eroi. In tal modo essi svelano la natura celata del reale, rivelando la violenza e la falsa moralità. I giochi di potere, che nell’opera tradizionale erano inseriti in una trama e legati alle categorie morali, sono qui presentate in maniera cruda, quasi senza mediazione. Esiste un legame tra l’espressione delle pulsioni profonde, soprattutto sotto la forma di sensualità repressa, e la critica sociale.
Ritroviamo in molti personaggi d’opera figure simili a quelle create dalla letteratura moderna, come ad esempio nelle opere letterarie di Kafka. Questa dimensione critica, collegata allo sguardo di coloro che sono esclusi e che mirano alla salvezza, rinvia all’immagine stessa del compositore, isolato socialmente.
L’autorappresentazione dell’artista ha attraversato un secolo di produzioni liriche e approda a una forma d’opera che riflette il suo proprio soggetto. Strauss l’ha realizzato in un’estetica rococò con Ariadne auf Naxos: l’opera non manca d’ironia, ma è un ironia a doppio taglio. Il ruolo del compositore, che conduce alla forma del teatro nel teatro, rimanda alla posizione stessa di Strauss che sottomette i propri criteri artistici alla domanda sociale (il soggetto non avrebbe potuto essere trattato nella stessa maniera da Mahler o Schömberg). Si ritrova la problematica sulla figura dell’artista anche in Pfitzer, Hindemith, Weill, Berio, Busoni ecc… .
Le figure solidali della vittima e dell’artista, che rinviamo alla solitudine, esprimono la sofferenza non meditata dalle posizioni sociali. Musicalmente, essa sigilla la rottura con le convenzioni dell’opera, in nome di un’ideale di verità dell’espressione. Ritroviamo qui l’idea wagneriana del “puramente umano”, che era il cuore della drammaturgia dell’autore del Ring e che, nel Parsifal, secolarizza la figura del Cristo. L’allegoria religiosa si ritrova in Die glückliche Hand, atttraverso il pathos dell’Uomo e la funzione del coro nascosto, così pure nei Soldati di Zimmermann, il cui finale apocalittico è dominato dall’idea di dannazione. Ma essa appare anche nell’uso della musica religiosa, che assume un senso critico e parodistico nelle opere di Kurt Weill o Ligeti.
Al contrario, le figure sociali dominanti sono smascherate, ridicolizzate, e il loro prestigio annientato: Wozzek, Soldati, Moses und Aron, Sancta Susanna e, in generale, tutte le funzioni dominanti in Brecht-Weill. E’ questo, che nel XX secolo, rende problematica, fatte le opportune eccezioni, la struttura dell’opera di derivazione letteraria, come pure quella delle opere fondate su un soggetto mitologico o storico. Le figure degli eroi antichi, come quelle delle divinità e delle figure di potere, rimandano a convenzioni espressive che entrano in contrasto con l’essenza della musica nuova. Esse la racchiudono entro limiti – quelli dell’opera nella sua forma accademica – che Wagner aveva già cercato di superare mediante la sua idea di dramma musicale. Ciò che egli chiamava “il linguaggio del sentimento”, al quale assegnava la funzione di esprimere la verità interiore contro gli artifici della convenzione, si inscrive nella struttura stessa del linguaggio musicale; la “ melodia infinita” crea la propria forma.
Ma, dopo Wagner, questa “lingua del sentimento” è degenerata in Kitsch: essa è divenuta una convenzione espressiva che rimanda ad una caratterizzazione psicologica elementare. Essa è legata al linguaggio della tonalità allargata, che rifiuta di varcare i suoi stessi limiti ( la musica di Wagner risuonerà nelle opere di Strauss, Zemlinsky o Pfitzner fino alla metà del secolo).
Nell’opera espressionista, la lingua è quella dell’inconscio, ed è legata all’esperienza atonale di Debussy, Holliger, Schömberg, Bartòk, Nono, Berio.
S. Margarone