Pagliacci a Palermo: il pathos e il pianto di Canio #Review

 

Successo pieno per la prima di Pagliacci a Palermo. Ottimo il cast sul palcoscenico e bella la regia di Lorenzo Mariani.

 

 

Un palcoscenico nudo ed una gradinata per gli spettatori. Così viene presentata sulla scena l’opera di Ruggero Leoncavallo “Pagliacci” in programma al Teatro Massimo di Palermo fino al prossimo 23 giugno. La scenografia di Maurizio Balò si completa con l’efficace scelta cromatica dei costumi di cantanti e coristi. Mentre veste tutti i maestri del coro con la rassicurante monotonia del bianco e del nero, lascia ricadere una pioggia di colori sgargianti sui protagonisti di una storia molto conosciuta e amata in cui un doppio delitto passionale costituisce l’epilogo di una storia di amore, gelosia e tradimento all’interno di una compagnia teatrale. Una Prima da ricordare.

Pagliacci a Palermo 2

Uno spettacolo completo e affascinante in cui emerge la figura di Canio interpretata dal cantante brasiliano Martin Muehle. All’inizio dell’opera nulla, in particolare, lasciava presagire quel Pathos crescente verso cui si sarebbe spinto questo tenore dalla grande presenza scenica. Muehle disintegra il sottile confine emotivo fra pianto e riso. Mescola realtà e finzione, dolore e ghigno feroce nella follia omicida di un personaggio con cui “un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo con me…”. Quando arriva la celebre aria “Vesti la giubba” tutto il dramma del ruolo passa attraverso la gola del cantante che, insieme alla splendida voce, emette quasi un singhiozzo o, forse, un suono gutturale in cui rabbia e tragedia, senza freno, lo fanno accasciare sulle dure assi lignee del palcoscenico. Un’interpretazione in grado di coinvolgere visceralmente lo spettatore che, col cuore in gola, riesce a provare quella sensazione così altrettanto delirante come quella che lo pervade. Il passo incerto e allucinato, dopo l’ultima scena dell’assassinio della moglie e dell’amante di lei, danno la misura di una presenza musicale e fisica predominante su tutto il resto del cast.

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Nel ruolo di Nedda ha cantato Valeria Sepe. La ritroviamo con immenso piacere nei panni gioiosi di una Colombina sbarazzina in cui desiderio di amore e spensierata leggerezza si uniscono all’ardore di una donna di grande passione. Come sempre Valeria Sepe riesce a dispiegare la bellezza della propria voce con grande sicurezza e forza, misurando l’espressività in un perfetto fraseggio. Lascia la sua impronta in questo ruolo con grande simpatia e divertimento non senza aver procurato qualche palpitazione in più quando, respingendo le avances di Tonio redarguisce l’odiato spasimante con una frusta e uno sguardo minaccioso e una sottoveste di seta nera che, ad un certo punto della tentata violenza, mostra la fugace visione di una bellissima gamba nuda fino alla coscia.

Pagliacci-ph © rosellina garbo 2019

Amartuvshin Enkhbat, è l’apprezzato baritono mongolo che Palermo già conosce per aver interpretato Rigoletto nel secondo cast ad Ottobre dello scorso anno. Anche stavolta non ha deluso le aspettative perché con un grande controllo della propria voce e una grande tecnica vocale ha interpretato il ruolo dell’infido Tonio. Perfetto nel ruolo buffo che la compagnia teatrale gli affida, ma meno cattivo e violento di quanto ci saremmo aspettati quando si propone, prima con aspetto pietoso e poi violento, alla bella Nedda.

Pagliacci-ph © rosellina garbo 2019

Nel ruolo di Beppe che, nei panni di Arlecchino ha interpretato la celebre aria “Oh Colombina”, ha cantato Matteo Mezzaro, che, tenuto fuori dal palcoscenico per rendere l’idea di una voce fuori campo ha avuto solo la seconda strofa per mostrare tutta l’efficacia della propria voce. Anche la sua presenza ha contribuito a rendere lo spettacolo completo e vivace.

Elia Fabbian si è esibito nel ruolo di Silvio, l’amante di Nedda. Una figura rassicurante e seria che, anche con una teatralità più contenuta rispetto ai colleghi, propone a Nedda una vita “normale”, calma e tranquilla. Come se quel girovagare con la compagnia teatrale fosse il vero problema da risolvere!

Pagliacci-ph © rosellina garbo 2019

Il magnifico Coro del Teatro di Palermo, diretto dal Maestro Piero Monti  ha ben interpretato la famosa aria “Andiam, andiam!” cantando e muovendosi all’unisono come tanti metronomi.

Il Corpo di Ballo del Teatro Massimo, sotto la direzione coreografica di Luciano Cannito, non poteva contribuire meglio alla resa finale dello spettacolo. Con costumi bianchi, nasi rossi e grande mimica hanno accompagnato ogni protagonista, e il suo dramma, fino alla fine dell’opera.

Efficace l’uso delle luci di Roberto Venturi che ha evidenziato lo spettacolo finale raccontato dall’opera con grande luminosità rispetto alla fase più intima in cui Leoncavallo racconta i sentimenti che gli attori provano come qualunque uomo o donna possono provare. Del resto il “Prologo” lo spiega bene fin  dall’inizio mettendo in chiaro che “vedrete amar sì come s’amano gli esseri umani; vedrete dell’odio i tristi frutti”.

La regia, affidata a Lorenzo Mariani, ha sicuramente valorizzato i vari ruoli dell’opera.

La conduzione del Maestro Daniel Oren non poteva che essere impeccabile e febbrile come le sue mani ipnotiche durante l’esposizione musicale. Commovente il suo intervento iniziale per ricordare la scomparsa del grande regista Franco Zeffirelli, di cui ha ricordato, con gratitudine e ammirazione, varie collaborazioni professionali.

Pagliacci- ph © rosellina garbo 2019

Hanno partecipato Francesco Polizzi e Paolo Cutolo nel ruolo dei due contadini e il Coro di Voci Bianche del Teatro Massimo diretto dal Maestro Salvatore Punturo.

Stavolta il Teatro Massimo ha regalato al suo pubblico mille e una emozione nella notte Palermitana. E tutte andrebbero raccontate ancora e ancora. Ma, forse, possiamo più efficacemente usare le parole di Martin Muehle:

La tecnica deve essere un appoggio per perdere la testa..” e non possiamo che essere d’accordo con lui.

Donata Musumeci

La recensione si riferisce alla prima del 15 giugno 2019.

photo©RosellinaGarbo

photo©FrancoLannino

 

 

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