Rachmaninov, la rivoluzione e la scuola russa nell’analisi di Salvatore Margarone
13 Marzo 2018
Chiunque si approcci a scrivere del compositore e pianista russo Sergej Rachmaninov, utilizza una propria prospettiva che è frutto delle sue competenze e della volontà di sondare alcuni aspetti della vita o della musica del compositore a seconda dell’importanza che vuole assecondare su di essi. La maggior parte dei testi sul russo sono di natura compilativa, ossia rivestono un carattere quasi statistico nel delineare biografie quanto più capillari, inserire fatti e tappe importanti vissute dal compositore e nell’effettuare analisi sulle principali opere seguendo un filo logico ed espressivo. In Italia la preoccupazione di scrivere del russo fuori da un rosario enciclopedico è ritornata nel 2003 con il libro di D’Antoni, Rachmaninov: Personalità e poetica, che insisteva sull’aspetto musicale-poetico, precedendo altri interventi di natura diversa (tra i quali spiccano quelli estetici di Piero Rattalino nelle sue guide pianistiche e nel Il Tataro e il Sergej Vasil’evic Rachmaninov di Davide Bertotti).
Un ulteriore contributo arriva dal recente testo di Salvatore Margarone per Casa Musicale Eco: Sergej Vasil’evic Rachmaninov: la scuola russa tra Romanticismo ed innovazione ripercorre vita ed opere del compositore russo, cercando di evidenziare i contesti storici come fondamento delle sue attività; a sorpresa Margarone si dedica a capitoli interi sull’evento della Rivoluzione Russa del 1917, sulle scuole nazionali di musica della seconda metà dell’ottocento, nonché sull’apprezzamento che Rachmaninov riscuoteva in tutto il mondo (questa fase viene impreziosita da un paio di speciali articoli provenienti dalla critica del tempo); così facendo, il lavoro monografico si arricchisce di ulteriori spunti e permette, con molta intelligenza, di effettuare indirettamente dei confronti, laddove si seguono gli indirizzi musicali proposti da Margarone. L’autore si duole della scarsa rappresentatività del repertorio di Rachmaninov in un territorio critico molto controverso: non sono in pochi a spezzare in due tronconi l’attività compositiva del russo (per quella interpretativa forse c’è meno baccano estetico).
L’opinione che molta critica ha su Rachmaninov è ambigua: molti lo considerano un’enigma per via della semplicità di certi episodi oppure lo considerano come un epigono del romanticismo inoltrato, senza innovazione; avendo abbandonato precocemente l’attività compositiva per quella di esecutore, il periodo su cui cercare di sondare la figura è perciò quello del decadentismo o post-romanticismo, pressapoco iniziato dal 1870 fino agli albori del novecento. In questo ampio spazio di tempo la musica russa ha potuto contare su un dualismo basato sulle modalità di inserimento della tradizione russa nella musica: da una parte una sorta di occidentalizzazione della struttura musicale (Tchaikovski, Rubinstein, etc.) a cui anche Rachmaninov ha aderito e dall’altra la scuola nazionale dei Cinque, che spingeva l’acceleratore sugli elementi tradizionali. Inoltre Rachmaninov ha subìto il confronto teorico e musicale con Scriabin, ritenuto il vero asse di trasformazione della musica russa (che mediava la posizione classica con quella avanguardista); a questo proposito, Margarone dedica il capitolo finale del suo libro proprio ad un confronto con Scriabin, anche se non si addentra nell’opportunità di un’analisi estetica comparata; quest’ultima è una necessità che ha cominciato solo in tempi recenti a prendere quota grazie ad un gruppo di giornalisti, storici della musica e musicologi (un testo che potete consultare e su cui sono state legate le varie posizioni è quello di Stephen Downes, Music and decadence In European Modernism: the case of Central and Eastern Europe). Per poter inquadrare Rachmaninov o i suoi comprimari, è la stessa nozione di decadenza che viene messa in discussione: c’è una decadenza scontata (quella che è solo raccolta del pessimismo dei tempi e della musica conseguente) che sta stretta a Rachmaninov, e una decadenza innovativa (che prepara ad una superiorità spirituale) entro la quale Rachmaninov può starci dentro quanto Scriabin. Dipende da ciò che viene allegato all’analisi musicale: i primi 3 concerti per pianoforte di Rachmaninov non avranno le capacità trascendentali di Scriabin (Margarone termina il suo libro con l’episodio dell’insoddisfazione di gran parte dei compositori e critici intervenuti al concerto di Rachmaninov per omaggiare la morte di Scriabin), ma hanno comunque altre qualità che consentono di evitare il pessimismo tout court e di adottare per il cammino un viottolo intermedio. E’ ciò che accadde, d’altronde, a Brahms ed altri autori del tardo ottocento, nel far emergere una speranza, un mondo alternativo che si cela dietro la creazione musicale.
Ettore Garzia
Fonte : https://ettoregarzia.blogspot.it/2018/03/rachmaninov-la-rivoluzione-e-la-scuola.html?m=1