Il tenore Roberto Alagna inaugura la terza edizione del Festival Classico di Santa Catalina a Las Palmas de Gran Canaria, organizzato dal Barceló Hotel Group sotto la Direzione artistica di Felipe Aguirre.
Lo accoglie una platea gremita che trova spazio nel grande giardino del lussuoso Hideaway Hotel.
Ai lati del palco sono posizionati due grandi schermi sui quali le telecamere proiettano le immagini del cantante e dell’ Orchestra filarmonica De Gran Canaria.
Una regia sapiente punta la telecamera sul protagonista ma si sofferma anche sugli orchestrali e sul gesto energico del Direttore Karel Mark Chichon, rendendo piena e coinvolgente l’esperienza anche per chi è seduto nei settori laterali con visibilità ridotta.
Un’esperienza unica e totalizzante “En plein air”, tra alberi del fuoco rosseggianti al tramonto, le spettacolari Dracaene draco, le Palme e i Ficus monumentali.
Un ambiente tanto bello quanto difficile.
Cantare all’aperto è un’ incognita.
Ci sono criticità da superare legate all’acustica.
Le prove sono lunghe ed estenuanti. Si lavora con meticolosità per coordinarsi tra cantante e orchestra, con i fonici che hanno l’arduo compito di gestire i microfoni e il ritorno audio.
Ma quando la sfida viene finalmente vinta, il suono si espande per il giardino con naturalezza e vibrante bellezza in una fusione perfetta tra palco e pubblico.
E in quel momento la natura smette di essere un limite e diventa un’incantevole cornice per la musica più soave, per il canto più passionale, accarezzato dal vento e sorvegliato con curiosità da uno spicchio di lunacrescente.
Il programma è impegnativo, intenso, raffinato. Le arie sono scelte con cura in un crescendo di emozioni.
Il programma di sala è diviso in due parti: una parte iniziale che spazia nel repertorio Francese e una seconda parte che attinge dal repertorio Italiano. Le arie sono inframmezzate da pagine sinfoniche ad ampio respiro che introducono lo spettatore ad una dimensione onirica e avvincente.
Il recital si apre con “Le bruit des chants” di Ernest Reyer. L’aria di Sigurd evidenzia subito le migliori caratteristiche vocali ed interpretative di Alagna: il canto omogeneo in tutti i registri, la morbidezza del fraseggio, la brillantezza degli acuti che trafiggono la notte con il fulgore di un raggio solare. Sul finale un pianissimo etereo suggella un’esecuzione carica di Pathos.
Ed è solo l’inizio.
“Pays merveilleux” da l’Africaine di Meyerber risuona, nel grande giardino, come un’ode alla natura.
E la fantasia comincia a volare alla pari dei pappagallini che sfrecciano veloci dietro il palco, colorando di verde il cielo di Las Palmas.
Per un attimo il loro passaggio chiassoso tiene in sospesa in aria la bacchetta del Direttore d’Orchestra. Una breve attesa divertita per consentire agli uccellini di finire la loro esibizione e poter quindi proseguire con il programma.
Emoziona “O souverain”, tratta da “Le Cid” di Massenet. Una prima parte potente e, contemporaneamente, melodiosa, sensibile e struggente che diviene una fervente preghiera in cui la disperazione prende la forma di note armoniose capaci di ammaliare. L’ardore sfocia in acuti sicuri e brillanti stemperati in un diminuendo soave in “…libre de tous regrets humains!”
La seconda parte esplode nella magnificenza di un canto aperto, passionale che si risolve in un pianissimo sostenuto all’infinito in “Aurore du jour éternel…” fino ad un sottile sospiro che diventa carezza.
Il finale in acuto è un’esplosione di luce.
L’aria “Non, Je ne suis pas un impie…” conclude la prima parte del recital. Tratta dall’opera contemporanea “Le derniere jour d’un comdamne a mort” tratta dal racconto di Victor Hugo e musicata da David Alagna, che firma anche il libretto insieme ai due fratelli Frédérico e Roberto.
Un’aria difficile, straziante, commovente in cui l’interprete da voce alla disperazione di un uomo condannato a morte ingiustamente. Un’opera che nel suo insieme colpisce al cuore: dolorosa, efficace, profonda…Necessaria.
La seconda parte si apre con “Oh, inferno!” dal Simon Boccanegra di Verdi nel quale riesce ad esprimere l’ampia gamma di sentimenti dalla rabbia, all’odio. Gli accenti eroici confluiscono nel sentimentalismo in modo spontaneo, vero, struggente.
Prosegue poi con “No, pagliaccio non son…” in cui da vita ad un Canio impazzito dal dolore, veemente di rabbia, con gli occhi illuminati da un lampo d’odio. Il fraseggio è perfetto, l’amministrazione dei fiati incomparabile, la presenza scenica imponente.
Così come lo è nell’aria tratta dall’ “Andrea Chénier” , “Si, fui soldato”, fiero e indomito poeta e patriota.
E ugualmente nell’appassionata “Amor ti vieta…” in cui tratteggia un Loris bruciante d’amore.
E ancora in “Niun mi tema…” in cui riesce dare all’Otello Verdiano una voce che ha corpo, morbidezza e un’infinità varietà di sfumature. Dall’imperioso “Oh Gloria…” al pietoso “E tu, come sei pallida…”.
Miscela con arte e sensibilità le mezze voci, lo splendore degli acuti, la bellezza del timbro solare.
Con la parola “…ba…..cio” che si perde in un sospiro, il volto chino, gli occhi chiusi e la mani che cadono lungo il corpo si consuma il dramma del Moro di Venezia e termina la parte ufficiale del programma.
Il programma sinfonico, d’altra parte, entusiasma il pubblico con la stessa forza.
Il Direttore Karel Mark Chichon conduce l’orchestra con precisione, veemenza, divertimento, e coinvolge il pubblico in un viaggio musicale ricco di suggestioni, colori, nuance.
Si comincia con la coinvolgente “Marche hongroise” , tratta da la Damnation de Faust di Berlioz, l’ impetuosità della “Farandole” di Bizet, l’esotica morbidezza delle melodie che diventano passione sfrenata nel “Bacchanale” dal Samson et Dalila di Saint-Saens.
La seconda parte si apre con Giuseppe Verdi e l’ ouverture dei “Vespri di Siciliani” per poi affrontare l’entusiastica “Danza delle ore” da “La Gioconda” di Ponchielli.
Merita una menzione particolare la versione strumentale dell’atto finale de “La Bohème” di Giacomo Puccini. Un arrangiamento, quello del M° Karel Mark Chichon, sensibile, vivo, tragico. I temi ricorrenti dell’opera sono accarezzati con affetto, con grande attenzione ai particolari. Il tempo perfetto dell’esecuzione amplifica la drammaturgia fino alle ultime note che risuonano come una campana funebre.
Una pagina musicale intensa dalla prima all’ultima nota.
A riportare l’allegria il bis orchestrale con il brano “Tico Tico” composto dal musicista brasiliano Zequinha de Abreu. Divertente, spassoso, incontenibile.
Dopodiché prendono l’avvio i bis di Roberto Alagna in cui furoreggia con canti in Spagnolo, Italiano, Napolitano. Qualunque sia la lingua, qualunque sia il brano, dal più sofisticato a quello tradizionale, le costanti rimangono inalterate: la parola perfettamente scandita, la facilità all’acuto che sembra sgorgare da una fonte di inesauribile fulgore, l’infinita ricchezza espressiva, e la capacità attoriale di chi con un solo sguardo riesce a dipingersi il ruolo addosso e a trasportare il pubblico in un’altra dimensione.
Apre con “Granada”, del compositore messicano Agustin Lara, infondendo in essa tutte le atmosfere spagnoleggianti con una dizione perfetta e un canto spiegato che conclude con un lungo acuto.
Continua con “La Spagnola”, del baritono Vincenzo di Chiara. La canzone acquista immediatamente una prorompente sensualità, condita da un sorriso ammaliante e sguardo da conquistatore. I finali di frase sono sottolineati da puntature ardite che stupiscono e rallegrano l’atmosfera.
Uno sfoggio vocale che entusiasma il pubblico e che prosegue con l’esecuzione di altri due cavalli di battaglia: “Cielito lindo” e “Funiculì funiculà” che lo confermano interprete eclettico, convincente e in splendida forma.
Un finale Partenopeo che coinvolge tutti.
Il brano è scandito dai battiti ritmati del pubblico fino a sfociare in un lungo e fragoroso applauso.
Il modo migliore per chiudere una bellissima serata ricca di emozioni circondati dal verde e abbracciati dall’immenso cielo delle Canarie.
Loredana Atzei
Photocredits : Gerardo Ojeda