L’opera tedesca del Novecento
Il modello di teatro impressionista lanciato da Debussy trova una certa diffusione anche nei paesi d’area tedesca dove, come abbiamo visto, i musicisti cercavano di sfuggire all’ormai ingombrante modello wagneriano.
Tra i primi ad assecondare le nuove forme musicali è Franz Sckreker (1878-1934). I suoi lavori si presentano carichi di simbolismi musicali e teatrali che rendono le sue opere quanto mai originali ed intrise di atmosfere cupe al limite del claustrofobico, segno di un profondo malessere interiore. Non a caso questo suo aspetto antiromanticismo, o meglio antieroismo, lo rese sgradito al movimento nazista che lo sospese da ogni carica pubblica. I suoi lavori più conosciuti sono “Der ferne Klang” (“Il suono lontano”, 1912) e “Die Gezeichneten” (“I predestinati”, 1918).
Sulla scia di un teatro dalle forti influenze veriste, troviamo Eugen D’Albert (1864-1932). La sua opera più famosa “Tiefland” (letteralmente, “Terra bassa” (1903) è intrisa di un forte realismo teatrale.
Così come intensamente drammatica è “Monna Lisa” (1915) l’opera più famosa di Max von Schillings (1868-1933).
Di stampo marcatamente wagneriano è invece il “Palestrina” (1917) di Hans Pfitzner (1869-1949), opera che sembra volersi erigere a baluardo della tradizione musicale tardo-romantica. Su una posizione più ambigua si trova invece l’opera teatrale dell’austriaco Alexander von Zemlinsky (1871-1942). Le sue opere più conosciute, “Es war einmal” (“C’era una volta”, 1900), “Der Traumgorge” (“Giorgio il sognatore”, 1906) e “Eine florentinische Tragédie” (“Una tragedia fiorentina”, 1917), esprimono un linguaggio estremamente eclettico che guarda a Wagner, ma anche a Puccini, Debussy, Schömberg, del quale Zemlinsky fu maestro, senza però spingersi ad espressioni troppo palesemente d’avanguardia.
Allievo di Zemlinsky fu anche Erich Kongold (1897-1957). Il suo operismo eterogeneo, venato di decadentismo, trova piena espressione in “Die tote Stadt” (“La città morta”, 1920). L’italo-tedesco Ferruccio Busoni (1866-1924) ci ha lasciato, invece, un teatro intriso di freschezza ed ironia nell'”Arlecchino” e “Turandot”, rappresentate insieme, a Zurigo nel 1917. Ben più complesso è il suo “Doktor Fausts” (rappresentato postumo nel 1925), un lavoro impregnato di austero intellettualismo, quasi per iniziati.
Il rappresentante più celebre dell’opera del Novecento è sicuramente Richard Strauss (1864-1949).
Dopo aver iniziato l’attività teatrale con “Guntram” (1894) e “Fevernot” (1901), due opere ancora spiccatamente legate al mondo post-wagneriano, Strauss scandalizzò il mondo musicale con la “Salomè” (1905) tratta dal romanzo omonimo di Oscar Wilde.
L’ispirazione letteraria sarà sempre una costante nella carriera operistica di Strauss, basta guardare al lungo sodalizio con il poeta e commediografo austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) che portò alla creazione di quelli che sono i suoi capolavori: “Elektra” (1909), “Der Rosenkavalier” (“Il cavaliere della rosa”, 1911), “Ariadne auf Naxos” (“Arianna a Nasso”, 1912) “Die Frau ohne Schatten” (“La donna senz’ombra”, 1919). Un’altra caratteristica di Strauss è l’essere rimasto sempre fedele, per tutta la sua lunga ed operosa vita, al suo stile ed alla sua poetica. Egli è stato un grande innovatore senza però mai diventare rivoluzionario sapendo fondere abilmente la più audace scrittura musicale ad un continuo riferimento ai modelli classici, base della sua notevolissima cultura. Nell’uso dell’orchestra, Strauss è stato uno dei più grandi maestri contemporanei; la ricchissima tavolozza strumentale rende vivissimo il contenuto musicale, ora tragico e violento come in “Salomè” o in “Elektra”, ora elegante, raffinato e teneramente ironico come nel “Rosenkavalier”, che rappresenta il punto più alto della sua produzione lirica. Ma dopo quest’opera, dal clima leggiadro, aereo, vagamente mozartiano, inizia per Strauss un lento declino. Sempre più chiuso nella sua torre d’avorio, il compositore sembrava negli ultimi anni della sua vita quasi estraneo ai tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale, ed il suo linguaggio si cristallizzava in una formula armonico-espressiva quasi codificata.
Se l’operismo di Strauss sembra rimanere isolato dal contesto sociale che lo circonda, il mondo musicale continua ad evolversi e ad introdurre continui rinnovamenti.
Il teatro di Paul Hindemith (1895-1963), intorno agli anni ’30 aveva già al suo attivo diverse opere teatrali, tra cui “Mörder, Hoffung der Frauen”, un atto scritto nel 1919 su testo del pittore O. Kokoschka, e “Santa Susanna”, un atto su testo di A. Stramm, le quali segnano, almeno sul piano letterario, la sua adesione all’Espressionismo.
La formazione di Hindemith rivela tendenze eclettiche, ed hanno salde radici costruttive soprattutto in Brahms e in Reger, con un gusto coloristico mutuato da R. Strauss e Debussy. Dall’espressionismo si scostò ben presto per aderire alla corrente Nuova Oggettività , che sorse in Germania nel dopo guerra parallelamente al Bauhaus di Gropius. In questo ambito affermò il ritorno alla musica d’uso in senso artigianale, in opposizione all’estetismo romantico.
Questa tendenza la si ritrova in opere come: Cardillac (1926), tre atti su testo di F. Lion; Hin und Zurück (1927) e Neus vom Tage (1929) satira impetuosa sulla società tedesca del dopoguerra.
A questo punto lo stile di Hindemith è chiaramente delineato: nella crudezza politonale del suo linguaggio, guidato da una ferrea logica costruttiva, appare radicato un senso della tonalità e diatonismo, che lo porterà sempre di più al recupero della tradizione tedesca prebachiana e bachiana, inteso come ritorno alla struttura e alla tecnica compositiva, spesso rigorosamente fondate sui principi della forma sonata, della fuga, e delle sue leggi contrappuntistiche. In questo senso Hindemith va visto nella storia della musica contemporanea, come un attivo e progressivo “restauratore” della tradizione strumentale tedesca pre-classica. La sua influenza sui compositori degli anni ’30 fu rilevante.
I lavori più radicalmente nuovi sono riscontrabili però nella produzione di Arnold Schömberg (1874-1951) e Alban Berg (1885-1935). Le opere composte da Schömberg testimoniano le varie fasi della sua maturazione artistica. In “Erwuartung” (“L’attesa”, composta nel 1909 e rappresentata nel 1924), già fortemente segnata dal linguaggio atonale, il compositore scava in modo straordinario nei turbamenti psicologici di una donna, unico personaggio dell’opera, in preda ad un incubo. Un solo personaggio è il protagonista di “Die gluckliche Hande” (“La mano felice”, composta nel 1919 e rappresentata dal 1924). Anche qui il musicista si concentra sull’aspetto psicologico: un artista impegnato nella ricerca interiore che lo porta al tocco felice, cioè alla piena espressione della sua arte. In “Von Heute auf Morgen” (“Dall’oggi al domani”, 1929) gli accenti sono decisamente meno concettuali e si stemperano nei toni della commedia. Il contrasto, la musica ha rotto completamente ogni legame con la tradizione e ha distrutto ogni dipendenza dai vari gradi armonici, ora codificati in un nuovo metodo di composizione che fa uso di 12 suoni della scala cromatica “in relazione unicamente tra loro”.