Storia dell’Opera: le scuole nazionali
La Russia era rimasta per tutto il Settecento e anche per una buona parte dell’Ottocento prima sotto l’influsso dell’opera italiana e poi di quella francese. L’esaurirsi di queste mode musicali spinge i musicisti alla riscoperta del proprio patrimonio culturale e a una rinascita della cultura russa. Nascono le scuole nazionali.
Fu un movimento molto vasto, non solo musicale, ma anche politico e morale che iniziò a farsi sentire in modo veramente tangibile attorno al 1850. Nel campo dell’opera, il compito di aprire la strada ad un teatro veramente russo e abbandonare così definitivamente l’opera italiana, è affidato a Michail Glinka (1804-1857) e Aleksandr Dargomiskij (1813-1869). Momento focale della nascita dell’opera russa è la prima rappresentazione, avvenuta nel 1836, a San Pietroburgo, dell’opera “Una vita per lo zar”, nota anche come “Ivan Susanin” di Glinka. Certo non si può dire che la musica di quest’opera sia particolarmente “russa”, anzi l’influenza occidentale è ancora ben presente, ma sono bastati pochi numeri e in particolare il tema del coro che chiude l’epilogo, per creare la novità. Caratteri russi ben più evidenti, li ritroviamo in “Russlan e Ludmilla” (1842) opera che si pone come il testo fondamentale per tutto il futuro melodramma russo.
Aleksandr Dargomiskij fu reso celebre dall’opera “Il convitato di pietra” (1872). Tratta da Puskin, quest’opera espone ancora una volta il mito di Don Giovanni. Il musicista segue molto fedelmente il testo di Puskin e sviluppa tutta la partitura in un abile mescolarsi di recitativo-arioso che segue fedelmente l’evoluzione psicologica dei personaggi. A ciò contribuisce un’orchestra che, con una finezza quasi cameristica, si unisce alla parte vocale, completandola.
Particolarmente originale, nel panorama musicale russo del tempo, è la figura del compositore Anton Rubinstein (1829-1894). Celebre pianista e fondatore del Conservatorio di San Pietroburgo, Rubinstein ha legato il suo nome di compositore d’opera a quello che è ritenuto il suo capolavoro, “Il demone” (1875). Questa partitura non si può certo considerare come opera dal carattere nazionale, anche perché Rubinstein era un convinto “occidentalista”, per quel suo carattere cupamente drammatico che non nasconde una certa similitudine con “L’olandese” wagneriano. “Il demone” fu una delle prime opere russe a godere di una certa popolarità anche nel resto d’Europa.
Non fu un nazionalista convinto anche Piotr Ilic Tchaykovskij (1840-1893).
Tchaykovskij non nasconde mai il suo grande amore per l’opera italiana e i suoi primi lavori teatrali, “L’Opricnik” (1874) e “Vakula il fabbro” (1876) e poi nella nuova versione con il titolo “Gli stivaletti” (1887) mostrano un compositore non particolarmente convinto nell’affrontare soggetti e stilemi russi. Tchaykovskij, infatti, li scelse quasi esclusivamente per seguire una certa tendenza allora in voga che gli avrebbe accattivato il favore del pubblico. Ed è certo che l’opera più celebre di Tchaykovskij, “Eugenio Onieghin” (1879), non è affatto un’opera nazionale. Il musicista fu attratto dal grande romanticismo, ma anche dall’ingenuità e dalla semplicità che emanava il romanzo di Puskin e a questi aspetti egli cercò di aderire con una musica perfettamente in tono. Non si preoccupò del taglio scenico, della divisione in atti (non a caso la partitura porta la dicitura di “scene liriche”) più o meno studiati e degli effetti scenici. In Onieghin domina un lirismo struggente, basta ascoltare le arie di Lenskij o la grande scena della lettera di Tatiana nella quale Tchaykovskij sì è probabilmente ricordato dell’altrettanto famosa scena della lettera del “Werther” di Massenet. Caratteri più marcatamente drammatici li ritroviamo nella successiva produzione di Tchaykovskij, ne “La pulzella d’Orléans” (1881), “Mazeppa” (1884) e soprattutto ne “La dama di picche” (1890), opera nella quale il musicista raggiunge uno stile declamatorio di grande potenzialità teatrale. La strada intrapresa da Glinka e Dargomiskij non è però andata perduta; si manifesta anzi con caratteri evidenti dopo il 1860 ad opera di un gruppo di cinque musicisti: Balakirev, Cui, Mussorgskij, Borodin e Rimskij- Korsakov. Dominatore comune di questi compositori è l’aspetto dilettantistico con il quale si accostarono alla musica, un aspetto che forse li ha spinti in maniera più evidente verso la tradizione musicale russa, alla quale hanno attinto sostenuti dal proprio istinto personale, e che ha portato così alla creazione di veri capolavori.
Uno di questi è sicuramente il “Boris Godunov” di Modest Petrovic Mussorgskij (1839-1881).
Opera dalla storia alquanto travagliata, alla quale il musicista lavorò a più riprese e che lasciò incompiuta nell’orchestrazione. Su di essa vi ha poi messo le mani Rimskij-Korsakov che nel suo lavoro di completamento ha snaturato per molti aspetti l’originale. Quello che più colpisce nel “Boris” è la potenza drammatica del coro che ha un ruolo fondamentale, per non dire principale. Certamente “Boris” è l’espressione del dramma del popolo russo, della sua oppressione e della sua lotta per la sopravvivenza. Non meno importante è “Khovanscina” dello stesso Mussorgskij, anch’essa destinata a rimanere incompleta ed anch’essa completata da Rimskij-Korsakov. Come nel “Boris”, anche in “Khovanscina” domina il dramma del popolo, vittima del gioco dei potenti. La musica è sempre spinta ad un realismo drammatico in una continua ricerca di colori e di immagini profonde e chiare, mai casuali, dal momento che il musicista non perde mai di vista l’incidere ineluttabile degli eventi, dei quali ogni personaggio è vincitore ma anche vittima. Se Mussorgskij rappresenta il lato più cupo e drammatico della storia russa, Alexandr Borodin (1833-1887), con il suo “Principe Igor” (1890), rappresenta la storia più luminosa ed eroica. Così come i personaggi delle opere di Mussorgskij erano complessi, quelli di Borodin si mostrano decisamente più immediati nei loro sentimenti, mentre la musica è brillante ed estroversa. Ad una Russia fantastica, favolistica guarda invece la produzione lirica di Nikolaj Rimskij–Korsakov (1844-1908). Da “La notte di maggio (1880), fino a “Sadko” (1898), considerato il suo capolavoro, a “La fiaba dello zar Saltan” (1900) e al “Gallo d’oro” (1909), Rimskij-Korsakov scorre il mondo della Russia, sospeso tra storia e leggenda. Un universo che la musica di Rimskij-Korsakov sa evocare in modo veramente unico e straordinario.
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