“TRA PONTE E SELCIATO”
raccolta poetica di Marina Agostinacchio
di Biancamaria Faggian
Marina Agostinacchio dedica la raccolta di testi poetici “Tra ponte e selciato” alla madre che la lasciò adolescente, ma già con tanti vissuti radicati nel cuore. Scrive ventisei poesie attraverso le quali “libera” dalla “prigione della morte” il ricordo di lei, restituendole una nuova, diversa vita, filtrata dalle emozioni provate un tempo e rivissute oggi. Non racconta, non descrive, piuttosto delinea situazioni e stati d’animo che la memoria della madre le suscitano, mentre gli acquerelli di Paola Munari, sua collega ed amica, accanto ad ogni lirica, li interpretano: l’utilizzo del colore, per costruire le forme, modula i toni, ed i colori si sciolgono in sfumature e trasparenze suggestive sintonizzate con la parola poetica che suggerisce senza definire.
Marina, dal primo all’ultimo verso, rivive emozioni del passato suscitate oggi da elementi, luoghi, espressioni di volti, suoni e luci che emergono e scompaiono come fossero colti attraverso un velo che ne rende incerto il contorno e la consistenza, e conservano forte il richiamo evocativo di cui si caricano. Nella successione dei testi, crea una struttura di senso unidirezionale: nella prima poesia desidera “Ritrovare l’anima e quel bel volto…” della giovane madre, strappata agli affetti più cari con una morte-prigione dalla quale, attraverso un difficile percorso poetico di scoperta, la figlia vuole farla uscire, e nell’ultimo verso, con successo, scrive “Ti ho liberata”.
Nella raccolta la via è tortuosa, alterna ai ricordi felici dell’infanzia la memoria delle premature sofferenze della mamma, troppo bella e giovane per arrendersi al buio dell’aldilà, e tra queste immagini inserisce, con cadenza diversa, testi di pausa-riflessione, che conferiscono un respiro di grande profondità alla struttura.
In questi testi Marina si confronta con la dimensione onirica della sua ricerca, consapevole che nel mistero della vita e della morte convivono “Certezza, inganno, arpeggio dentro al sogno”, nel turbine che ha diviso e legato per sempre la sua esistenza e quella della madre. Insieme hanno camminato per le strade di Padova, “tra ponte e selciato”, ed ora ogni canale, ogni vicolo, ogni pietra, visti o calpestati con lei, conservano il respiro di allora, ed ora, però, è necessario ammettere che “Quello che manca è un suono, il trillo-voce / tamburello allegro sul lastricato”, e dei loro intensi colloqui resta solo un’eco struggente che risuona nel pensiero. E “Si apre il ricordo, germoglia visione / Dove sei tu e tu con me, io e te insieme?” . In questa incalzante percezione del vissuto, la poesia di Marina fiorisce con forza e malinconia sul filo della memoria che recupera un passato ancora vivo nella casa familiare di oggi, per le strade di pietra e le vie d’acqua di una città che nella sua storica realtà sembra essere luogo ideale per conservare le impronte di tempi sereni, patrimonio della mente e del cuore.
Ed allora, in un eroico sforzo, la memoria sfuocata dal logorio del tempo le riporta alla mente la luce di giorni felici pregni di inconsapevole gioia: durante la camminata per raggiungere la chiesa alla domenica, nelle passeggiate invernali ed estive all’ombra di antichi palazzi, tra vicoli e piazze, sui ponti… anche se già s’insinuava nella madre“spietato male” che logora il corpo e ogni speranza.
Marina, nell’ultima parte della raccolta, giunge ad un’appassionata analisi del dolore, attraverso una poesia in cui ogni parola amplifica ad oltranza il proprio significato. In “Ultimo giorno” scrive: “Ho tante cose che ti voglio dire, / o una sola, ma grande come il mare, / come il mare profonda ed infinita…/ Sei il mio amore e tutta la mia vita! / Da questo testo prende avvio il viatico della malattia che era della madre ed ora è anche della figlia, e da questo comune destino, spontaneo nasce nelle parole di Marina un processo di identificazione tra la sofferenza ricordata della mamma e quella rivissuta nel proprio corpo: “Di ogni cellula passata, cordone / ombelicale, sangue trasmigrato…”
I versi diventano serrati, franti ed il lessico denso “Della dissonanza, anch’io preda, segno” ed ancora “Profondità inesplorata, l’inganno./ Dove sei? Dolore, male, legame. / Cranio evocato inutilmente. Notti / in scacco di memoria…prolungata”.
Si consuma il mistero della vita: dalla madre, oltre l’esistenza, si trasmette il male alla figlia? E’ “inganno”? beffa del destino o provvidenza i cui fini sfuggono alla ragione? “Ti sei stesa su di me, seno contro seno. / Volto comprime il volto”.
Marina, mentre ripercorre la storia umana della madre, scopre i molteplici aspetti che l’accomunano a lei, scopre un’identità forte che le restituisce, insieme ad un’infinita pena per la sofferenza comune vissuta, anche la gioia di sentirsi in lei.
Biancamaria Faggian