In scena a Trieste una controversa edizione della ‘Manon Lescaut’ di Puccini nella quale brilla la direzione di Gianna Fratta
Recensione di ‘Manon Lescaut’ di Giacomo Puccini in scena al Teatro Verdi di Trieste dal 2 al 12 novembre 2023
La stagione 2023 24 teatro Verdi di Trieste si è aperta con ‘Manon Lescaut’ di Giacomo Puccini, nell’allestimento controverso dell’Opera di Montecarlo, firmato da Guy Montavon, per luci e regia; Hank Irvin Kittel per le scene; Kristopher Kempf per i costumi.
La proposta del teatro è di proporre i lavori di alcuni dei nomi più significativi della regia internazionale: ci aspettano ‘ Die Zauberflöte’ di Stefanutti ; la conosciuta ‘Anna Bolena’ di Vick; ‘Ariadne auf Naxos’ nell’allestimento firmato da Curran; il ‘Nabucco’ ideato da Giancarlo Del Monaco; ‘La Cenerentola’ gioiosa di Gavazzeni e Maranghi; fino a ‘Il Castello del Duca Barbablu’ con la regia di Brockhaus.
Sicuramente una scelta interessante, coraggiosa, che merita il sostegno del pubblico, cui vengono offerti spettacoli che non affossano nelle routine e che inseriscono il teatro triestino nel grande dibattito culturale europeo.
Che poi le proposte siano gradite alla platea, riuscite teatralmente, si vedrà di volta in volta.
In questo caso lo spettacolo nasceva in un momento particolare, che segnò il rientro sulle scene della Netrebko , bloccata dai teatri per ragioni che poco avevano a che fare con l’opera.
Accanto alla Diva cantavano il marito e Claudio Sgura. Tre veri fuoriclasse del palcoscenico, dotati di una copiosa voce ed un innegabile carisma.
Questo sicuramente ha smussato l’attenzione su scene e regia, che invece, a Trieste, risultano deflagranti.
Si è riscritta la vicenda, si sono trasformati i luoghi, modificati i personaggi.
Geronte canta anche la parte del sergente degli arcieri e quella di un comandante di marina e diventa uno scultore, facendosi figura centrale della vicenda.
Un’idea forse interessante, che però nei fatti viene tradotto in una caricatura di Lagerfeld che si aggira con movenze da Gianluca Vacchi, calpestando la narrazione pucciniana .
Non va meglio con le ambientazioni.
Il primo atto si consuma in un chiosco popolato da signore che vorrebbero essere Marilyn ; uomini vestiti di strass con in testa patetiche parrucche; attempate signore vestite come regine e vecchie maliarde in fuseaux leopardati; suore, dagli abiti sensuali, che per il sorriso di un giovane aitante ed una coppia di gelato sono pronte a smarrire la novizia.
Tanta confusione senza dire nulla di rilevante.
Quando arriva Geronte, con al fianco un collaboratore conciato come Maurizio Arceri dei Krisma, la situazione cade nel grottesco.
Il secondo atto trasporta la scena in una sala dall’illuminazione neon multicolor, ingombra di divani dal design vistoso e con una sorta di basamento mobile sulla quale Geronte , dopo aver sniffato cocaina, essersi fatto togliere camicia e scarpe da delle fanciulle inquietanti, prova a trasformare Manon in ina scultura ricoprendola di bende gessate, dopo averla avvolta nella pellicola da cucina.
Tutto forzato, esasperato, come in una telenovela dalle caratterizzazione elementari. A riprova di questa considerazione, le parole di Montavon che descrive sul programma la protagonista come una ‘donna che ama sè stessa sopra ogni cosa….egoista.. [che ] fa precipitare [ Des Grieux] in un pantano umano esecrabile da cui non uscirà mai’.
Il terzo atto è un tribunale inquietante, popolato da freakseccessivi e vistosi, che infieriscono sulle povere detenute marchiate sulla schiena e rese anonime da tute nere. Il giudice che condanna tutte, è un Geronte che legifera mentre mangia una aragosta, consegnata dal lampionaio.
L’ultimo atto non è nel deserto che desiderava Puccini ma in una prigione, dove Manon muore con il suo cavaliere dall’altra parte delle sbarre.
Manon canta ‘Sola, perduta, abbandonata’ in compagnia, mentre Des Grieux non riesce a dare sollievo all’amata, nonostante nella sua stanza ci siano cibo e casse d’acqua in abbondanza.
Alla fine la porta della stanza chiusa del cavaliere si apre, ma il giovane invece che raggiungere la fanciulla amata, preferisce scappare.
Insomma dal punto di vista narrativo una storia tristissima, cinica, priva d’amore e senza poesia,
Operazioni del genere meriterebbero maggior coraggio. Una volta che si è deciso di prendere a colpi d’accetta la trama, che si sono trasformati i personaggi, avrebbe senso intervenire sul libretto, per evitare incoerenze ed assurdità.
Soprattutto sarebbe importante che il programma di sala riportasse la trama effettivamente narrata sulla scena e non quella standard, di cui non c’è più traccia.
Il pubblico ha applaudito cantanti e direttrice, ma ha subito e patito lo spettacolo, a giudicare dai commenti unanimemente velenosi raccolti all’uscita.
Essendo saltata per sciopero l’apertura della stagione, prevista per il 2 novembre, la replica cui abbiamo assistito il 4 novembre era di fatto la prima, ma né il regista, né lo scenografo, né l’autore dei costumi si sono presentati al proscenio a fine spettacolo.
Forse è stato meglio così.
Passiamo alle considerazioni di ordine musicale.
Il coro che ha confermato la sua affidabilità, la capacità di affrontare un allestimento quanto mai complesso scenicamente
Eterogenea la resa vocale. Suggestivo il musico di Magdalena Urbanowicz ; funzionale Nicola Pamio, il braccio destro di Geronte; adeguato Giuseppe Esposito, un credile oste.
Paolo Nevi, è stato un Edmondo dal canto naturale, caratterizzato da un piacevole colore ed un volume non sempre in grado di superare l’orchestra.
Matteo Peirone ha regalato il corpo e la voce, un po’ usurata, a Geronte, vero deus ex machina della vicenda, ritagliandosi un ruolo da coprotagonista.
Fernando Cisneros , Lescaut, ha una voce interessante, sulla quale farebbe bene a continuare a lavorare per affinarla al meglio ed uscire da una certa genericità .
I ruoli di Manon Lescaut e di Des Grieux erano vestiti da due coppie di interpreti.
La prima era costituita da Roberto Aronica e Lana Kos.
Il primo può vantare una lunga carriera, spesso con ruoli molto impegnativi, che hanno lasciato il segno sullo strumento vocale, che non ha più la baldanza e l’opulenza giovanile che la parte richiederebbe . Aronica ha portato a termine la parte con professionalità, ma con un taglio più drammatico che poetico.
Lana Kos è stata una convincente Manon. Timida, ma anche curiosa nel primo atto; suadente e determinata nel secondo; prostrata nel terzo; terrorizzata nel quarto atto, è stata credibile scenicamente e vocalmente, grazie anche ad una voce dal colore interessante, soprattutto nelle note più basse, solidi acuti, fiati sicuri , un volume che ha sempre superato l’orchestra senza difficoltà.
Nella seconda compagnia il nome più atteso era quello di Murat Karahan, che alla seconda recita è stato sostituito da Max Jota, che già si era esibito alla presentazione per la stampa, la settimana prima. Inevitabile pensare che fosse una sostituzione prevista ed un peccato che il teatro non l’abbia correttamente annunciata in anticipo.
Jota ha consegnato un credibile Des Grieux, con acuti generosi, fiati lunghissimi, volume possente, ma anche qualche suono da tenere meglio sotto controllo. Più irruente che sfumato, ha offerto una suggestiva l’interpretazione nell’ultimo atto, quando riesce a tratteggiare il ritratto di un uomo scavato dal dolore, solo e disperato..
Alessandra Di Giorgio è in un momento felice della carriera, che la porta ad interpretare tanti fra i ruoli più impegnativi del repertorio sopranile. E’ fresca dalla Lady Macbeth, si prepara a portare in scena Tabarro e questo caleidoscopio di ruoli può puntare su acuti sicuri e filati suggestivi.
Certo per valorizzare il ruolo di Manon ci vorrebbero un lavoro più approfondito sulla parola, una dizione più comprensibile, anche una espressione più intensa. Ma difficile dire se queste criticità dipendano da interprete o da scelte registiche.
La vera protagonista dello spettacolo è stata la Maestra Gianna Fratta che, nonostante tutto e nonostante tutti ha consegnato una lettura carica di pathos, attenta, poetica.
Evidente che ha un’idea chiara e profonda del titolo pucciniamo, che difende con determinazione e coerenza.
Nonostante ci siano dei momenti in cui l’orchestra del Verdi, decisamente all’altezza della situazione, risulti strabordante nei volumi, la Fratta riesce a supportare le voci con efficacia, senza cedere a gravosi compromessi .
Intensissimo l’intermezzo nel quale brilla la resa orchestrale ed in modo particolare l’ intenso violino del sempre bravo Stefano Furini.
Alla fine il pubblico, più numeroso nella replica di sabato affollata di giovani, premia con generosi applausi tutti gli interpreti, con punte di motivato entusiasmo per la Maestra Concertatrice e Direttrice Gianna Fratta
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2023-24
Gianluca Macovez
‘MANON LESCAUT’
Dramma lirico in quattro parti dal romanzo ‘Histoire du ChavalierDes Grieux ed de Manon Lescaut’ di Francois- Antoine Prevost
Musica di GIACOMO PUCCINI
Personaggi e interpreti
Manon Lescaut LANA KOS (4/11/ 2023) ALESSANDRA DI GIORGIO (5/11/ 2023)
Il Cavaliere Renato des Grieux ROBERTO ARONICA (4/11/ 2023) MAX JOTA (5/11/ 2023)
Lescaut FERNANDO CISNEROS
Geronte di Ravoir MATTEO PEIRONE
Edmondo PAOLO NEVI
Un musico MAGDALENA URBANOWICZ
Il lampionaio/Il maestro di ballo NICOLA PAMIO
L’oste GIUSEPPE ESPOSITO
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Maestra Concertatrice e Direttrice
GIANNA FRATTA
Regia e luci GUY MONTAVON
Scene HANK IRWIN KITTEL
Costumi KRISTOPHER KEMPF
Allestimento in coproduzione tra Opéra de Monte-Carlo ed Erfurt Theatre
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, 4 e 5 novembre 2023