Verona: il “Rach 3” nella visione intima di Mikhail Pletnëv

 

Il pianista russo Mikhail Pletnëv incanta il Filarmonico con la sua personalissima visione del terzo concerto di Rachmaninov

 

Continua la Stagione Sinfonica al Teatro Filarmonico di Verona con uno dei concerti più attesi della stagione, con il quale la Fondazione Arena ha omaggiato Béla Bartók, nell’ottantesimo anniversario della morte.

Lunghe le file al botteghino per accaparrarsi gli ultimissimi biglietti rimasti disponibili, ma la sala era già colma dal pubblico accorso per non perdere l’occasione di una serata memorabile. La presenza del giovane direttore Ryan McAdams in coppia con Mikhail Pletnëv, uno dei pianisti più acclamati a livello mondiale.

L’inizio è dedicato ad una prima assoluta italiana: il giovane maestro Ryan McAdams presenta un nuovo lavoro per il panorama musicale italiano: “Brink“, composto durante la pandemia dal contemporaneo irlandese Donnacha Dennehy (1970). Quest’opera trae ispirazione da Beethoven, esplorando il concetto musicale fino a portarlo “sull’orlo del baratro”, suggerendo una tensione tra creazione e crisi.

La composizione è seguita dalle vivaci danze de “Il mandarino meraviglioso” di Béla Bartók, un racconto espressionista ricco di immagini sonore e colori di straordinaria intensità. La musica di Bartók, con la sua freschezza e vitalità, si contrappone così all’intensa riflessione di Dennehy, creando un interessante dialogo tra il passato e il presente della musica contemporanea.

La seconda parte della serata è dedicata al Concerto n. 3 in re minore op. 30 di Sergej V. Rachmaninov.

Composto da Rachmaninov nel 1909, debuttò a New York il 28 novembre dello stesso anno, eseguito dallo stesso compositore e diretto da Walter Damrosch. Quest’opera, di grande complessità formale, segna un parziale allontanamento da tonalità retoriche e pompose, abbracciando un’espressività più lirica e intima. Si tratta del concerto più esteso di Rachmaninov, il quale, a partire dalla fine degli anni Trenta, cessò di eseguirlo, ritenendo di non avere il livello interpretativo di pianisti più giovani come Horowitz e Gieseking. Rachmaninov realizzò anche una versione significativamente ridotta di quest’opera, ma quest’ultima non riscosse mai particolare successo.

Il primo movimento, Allegro ma non tanto, presenta un andamento calmo e riflessivo, lasciando gran parte del compito al solista, il quale suona solo in un momento specifico, durante il ponte orchestrale che connette il primo al secondo tema. Quest’ultimo risulta essere il tema più affascinante dell’intero concerto, nonostante lo sviluppo dell’Allegro ma non tanto si basi principalmente su variazioni del primo tema e la ripresa risulti solo accennata. Il secondo tempo, Intermezzo, Adagio, è un brano di puro gusto romantico, intriso di intenso lirismo; verso la conclusione, le terzine del pianoforte suggeriscono un malinconico valzer in fa diesis minore, melodicamente intonato da clarinetto e fagotto, accompagnato dal pizzicato degli archi. Nel terzo movimento, Finale, alla breve, riemergono motivi tematici del primo movimento, ripensati con grande virtuosismo; la coda esplora ulteriori sonorità, riprendendo inizialmente il tema principale del primo movimento in una sorta di danza macabra, per poi concludere con un trattamento frenetico del secondo tema del Finale stesso.

Il monumentale terzo concerto di Rachmaninov era un appuntamento molto atteso della stagione del Filarmonico di Verona. L’energia, il vigore che allo stesso modo pervade questa partitura nei cantabili ed abbandoni melodici sono le caratteristiche di questa splendida composizione.

Rachmaninov inserisce in questo Concerto tutto quel dolore espressivo che negli anni della sua composizione (1909) lo stesso viveva nella sua amata Russia. Lo stesso che Mikhail Pletnëv infonde nella sua visione esecutiva che, sin dalle prime note, spiazza il pubblico in sala per tocco e tempi.

La sua è un’interpretazione molto intima e personale di questo Concerto, studiata nell’animo e nelle timbriche che sono sempre controllatissime: ogni gesto (quasi impercettibile a dire il vero) delle sue braccia è mirato a comandare ogni singolo dito delle mani per infondere quel preciso affondo alla tastiera. Il fraseggio, ineccepibile, fa emergere canto, contro canto, dissonanze, che i molti pianisti negli ultimi decenni sorvolano pur di ottenere “l’effetto plateale”. Ne emerge quindi una tavolozza di colori variegata che non eccedendo mai sui fortissimi riesce a giocare invece coi pianissimi sfruttando così una ben più ampia gamma di dinamiche.

La sua impassibilità al pianoforte è magnetica, il pubblico è pietrificato durante l’ascolto, catturato da sonorità musicali che in altre esecuzioni passano inosservate. Le linee melodiche di intrecciano perfettamente con l’Orchestra della Fondazione Arena di Verona diretta da Mc Adams che lo segue scrupolosamente nella sua visione dell’insieme. Pletnëv non si scompone dalla sua seggiola nemmeno negli impetuosi passaggi pianistici della partitura, le sue mani volteggiano tra quelle note senza minimamente esprimere fatica.

Insomma, una serata memorabile come poche volte accade di assistere in cui le aspettative non sono disattese, anzi, sono state più che superate e con grande meraviglia per un’esecuzione rara a cui il pubblico ha assistito.

Pubblico in delirio alla fine a cui Pletnëv risponde con due bis: Chopin e Tchajkowsky.

 

Salvatore Margarone

La recensione si riferisce al recital del 29 Marzo 2025

Photo©ENNEVI VERONA

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