Verona: La Wally di A. Catalani

 La Wally di A. Catalani per la prima volta al Teatro Filarmonico di Verona

 

 

I prolungati e gratificanti soggiorni in Engadina, motivati da ragioni di salute, portarono Catalani a scoprire un universo che avrebbe in seguito trovato espressione concreta nel soggetto di “Wally”. Il compositore si imbatté in un racconto d’appendice intitolato “Perseveranza” e rimase colpito dalla narrazione che, discostandosi dai tradizionali duetti, terzetti e quartetti, si concentrava su una visione d’insieme più ampia. La scrittura dell’opera ebbe inizio nel 1889 e si concluse due anni dopo. La prima rappresentazione, diretta da Edoardo Mascheroni e con Hericlea Darclée ed Emanuele Suagnez nei ruoli principali, rivelò la sostanziale incomprensione della critica nei confronti dell’opera e, in generale, della musica di Catalani. Se da un lato venne elogiata la costruzione drammaturgica di “Wally”, considerata più raffinata rispetto ai lavori precedenti, dall’altro si ribadirono critiche di scarsa originalità e inventiva.

Nonostante le incomprensioni da parte della critica del tempo, “Wally” si distingue per l’innovazione nella sua struttura drammatica, superando i consueti schemi melodrammatici legati ai “pezzi chiusi”, come arie e duetti. Alcuni brani, come le canzoni dell’Edelweiss, della nonna e del pedone, sono impiegati da Catalani per fini coloristici, ma rimangono marginali rispetto al fulcro narrativo principale. Con quest’opera, Catalani portò così a compimento un progetto avviato nei suoi lavori precedenti, mirando a rinnovare la forma dell’opera attraverso un’apertura cauta, ma significativa, verso le innovazioni del teatro wagneriano, senza però rinunciare a specifiche tradizioni italiane. In questo modo, il compositore riuscì a combinare le forze delle due tradizioni teatrali: quella tedesca gli permetteva di recuperare un’urgenza e incisività narrativa, talvolta affidata all’orchestra come in Wagner, spesso inaccessibile al melodramma italiano per il suo uso prevalente di forme chiuse. La tradizione nazionale, d’altra parte, consentì di creare una struttura narrativa in cui alcuni numeri chiusi, sebbene di carattere minore, punteggiano e incorniciano i momenti drammaticamente più significativi.

Sebbene “Wally” sia considerato il suo capolavoro, il compositore, forse eccessivamente concentrato sulle esigenze di un progetto formale, talvolta non riuscì a utilizzare un linguaggio unificato e coerente dal punto di vista espressivo. Un’eccezione notevole è la celebre aria “Ebben, ne andrò lontana“, proveniente dalla “Chanson Groënlandaise” scritta da Catalani nel 1878 su versi di Jules Verne, che rappresenta uno dei vertici dell’intera partitura e tende a concentrare l’attenzione sul primo atto, trascurando i successivi, forse meno ricchi di idee e innovazioni. Tuttavia, molte altre sezioni dell’opera sono arricchite da pagine di grande rilievo, come il preludio del terzo atto, tratto da un brano pianistico “A sera“, composto nel 1889 e pubblicato nel “Paganini” di Genova, e il successivo episodio in cui Wally si immerge nel dirupo per salvare Hagenbach.

Anche se  “La Wally” sia comunemente classificata come un’opera verista, la sua atmosfera espressiva mostra una continuità con i lavori precedenti di Catalani. Essa si mantiene nel filone fantastico e, contrariamente alle intenzioni del compositore di dar vita alla prima vera tragedia del suo teatro, rimane un’opera che si colloca nel caratteristico stile elegiaco del compositore lucchese. Anche la scrittura orchestrale, più leggera e lineare, evidenzia l’appartenenza di “Wally” al delicato e discreto mondo di Catalani. Sicuro di aver raggiunto con “Wally” una sintesi efficace di due tendenze apparentemente inconciliabili, il musicista considerò quest’opera l’ultimo strumento di riscatto da un isolamento e da una incomprensione sempre più intollerabili da parte di pubblico e critica. Tuttavia, in un primo momento, il suo successo fu maggiore.

Approda per la prima volta al Teatro Filarmonico di Verona come seconda opera in cartellone quest’anno. L’allestimento è quello di Piacenza, ben strutturato e curato che porta la firma di Nicola Berloffa.

Per quanto riguarda il cast, Gabriele Sagona interpreta Stromminger. Il debutto in questo ruolo avviene in questa prima serata con risultati positivi. La sua voce rotonda e profonda ben rappresenta la figura autoritaria del padre nella partitura di Catalani. Grazie alla sua grande presenza scenica e a una sapiente accentuazione, riceve applausi meritati dal pubblico.

Analogamente, Gellner è interpretato dall’eccezionale Youngjun Park. Sul palcoscenico, Park dimostra una presenza sicura e una voce potente e ben modulata, evitando qualsiasi esagerazione inappropriata, e rappresenta con efficacia l’amante respinto da Wally, delineando il personaggio con sfumature vocali che si distinguono persino attraverso la robusta orchestrazione dell’opera.

Bravissima Eleonora Bellocci nella parte en travesti di Walter, l’amico di Wally. La complessità del canto di Catalani non influisce sulla tecnica di agilità di questo soprano, che affronta la prova con successo, ricevendo l’apprezzamento del pubblico attraverso un lungo applauso finale.

Wally è interpretata dal soprano Eunhee Maggio. La sua parte vocale richiede una voce molto plastica e capacità di sfumature e colori. In alcune occasioni, la voce non ha risposto pienamente alle intenzioni: alcuni acuti sono stati un po’ urlati e stretti, mentre nella parte grave alcune note sono risultate meno udibili. Nel complesso, è riuscita a portare a termine la performance. Nell’aria Ebben ne andrò lontana, che è una delle più conosciute dell’opera, si è percepita una minore presenza di trasporto e pathos.

Bene Carlo Ventre nei panni di Hagenbach. Anche la sua tessitura insiste molto sull’acuto della voce, che ha risolto facilmente senza tralasciare l’interpretazione. Abbiamo apprezzato meglio nel secondo e quarto atto la sua voce e anche le sue doti attoriali ed interpretative.

Ottimi i comprimari a partire da Romano Dal Zovo nei panni de Il Pedone e Afra interpretata da Marianna Nappa.

Sul podio ritorna al Filarmonico il maestro Antonio Pirolli. Sìn dalle prime note è chiaro il suo intento musicale, che emerge per l’intera opera: il sinfonismo infuso all’ orchestra, che è insita nella partitura di Catalani. Certo, in alcuni momenti la buca soffoca il canto che soffre qua e là della potenza sonora, ma in quest’opera verista ci può anche stare. A parte questo, la sua direzione è chiara e controllata. L’Orchestra della Fondazione Arena di Verona lo segue con parsimonia e precisione. Molto intenso il Preludio del terzo atto in cui il lirismo musicale della partitura ha coinvolto ed affascinato gli uditori presenti.

Ottimo il Coro della Fondazione Arena di Verona diretto da Roberto Gabbiani.

Belle le luci curate da Valerio Tiberi, così come i costumi curati da Valeria Donata Bettella.

Un’opera da vedere sicuramente, visto che poche volte viene messa in cartellone nei teatri e che invece, proprio per le sue peculiarità, dovrebbe essere ascoltata di più.

 

Salvatore Margarone

La recensione si riferisce alla prima del 16 Febbraio 2025

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