Fondazione Arena di Verona, Teatro Filarmonico:
il vintage affascina nel ritrovato “Un Ballo in maschera” di Giuseppe Verdi
Un Ballo in maschera racconta la reale trama d’amore che pose fine alla vita di Gustavo III di Svezia per mano di uno dei suoi migliori amici, proprio durante un ballo in maschera. Il libretto, ispirato all’opera Gustave III, ou le bal masqué di Eugène Scribe, scritta nel 1833, aiutò Giuseppe Verdi a comporre nel 1859 un’opera di maturità stilistica che riflette sull’etica in conflitto con la passione amorosa; sulla disperazione abbandonata alla superstizione, sulla lealtà al di là dell’ingiustizia e del crimine. In buona sostanza, il classico triangolo politico/amoroso, fusi insieme dal senso del dramma e da una narrazione avvincente, caratteristiche tipicamente verdiane.
Agli esordi la censura volle evitare il protagonismo dei reali svedesi portando la questione reale e storica oltreoceano in una Boston del Seicento, dove il re diventa un governatore della colonia americana. Alla prima andata in scena domenica 17 dicembre, al Teatro Filarmonico di Verona, dopo ben 21 anni di assenza, con buona pace dei “modernisti” (ma con grande apprezzamento di chi scrive), bellissimo è l’allestimento storico del 1913, con le scene dipinte su carta da Giuseppe Carmignani e riportate all’antico splendore dopo un lungo e delicato restauro. Interessanti le immagini del restauro stesso, proiettate durante il preludio. I costumi ben curati di Lorena Marin più che un’epoca precisa identificano soprattutto i personaggi, che si dipanano con garbo in una narrazione incasellata in quelle tele verticali che rimandano effetti prospettici davvero interessanti. Nonostante la staticità obbligata dal tipo di allestimento, le luci di Andrea Borelli rendono tridimensionali alcuni particolari aumentando l’effetto di profondità: un passato che elegantemente rivive e trova un suo posto in questi tempi dove l’utilizzo della tecnologia spesso rende tutto asettico e privo di spessore culturale.
Quindi ancora una volta non si rimpiange l’assenza quasi totale di arredi scenici (i pochi elementi essenziali sono curati da Leila Fteita), e si apprezza il fatto che, per i cantanti, ci sia piena libertà di espressione e movimento. Peccato che quest’ultimo, nella raffinata regia di Marina Bianchi, sia stato elargito con una certa parsimonia, con l’effetto secondario di svilire parzialmente l’intenzione drammaturgica degli artisti sul palco.
L’Orchestra della Fondazione Arena di Verona, come sempre in gran forma, è diretta dal Maestro Francesco Ivan Ciampa, che noi ben conosciamo: non smentisce il suo stile, e infonde passione e colore alla partitura dando uguale importanza sia alle tinte liriche quanto a quelle drammatiche; i fraseggi risaltano senza essere invadenti, e i tempi sono sempre perfetti e soprattutto adatti a ogni momento dell’azione, creando così un forte legame tra buca e palco.
Il cast è eccellente. Luciano Ganci nei panni di Riccardo si trova perfettamente a proprio agio: non risparmia infatti gli accenti che enfatizzano il personaggio, e utilizza tutta l’estensione vocale di cui è dotato. Forse a volte un po’ spavaldo negli acuti (belli) a favore del pubblico, sono sorprendenti i repentini passaggi di registro dall’acuto alla voce di petto, pulitissimi e senza accenni di portamenti o sbavature.
Simone Piazzola è Renato. Presenza scenica imponente, drammatica, quasi torva nel momento in cui decide di unirsi al complotto per l’omicidio di Riccardo. Anche il registro acuto è scuro, con caldi legati vellutati. In alcuni momenti è sembrato un po’ distratto, ma questo non gli ha impedito di raccogliere fragorosi applausi dopo l’aria “Eri tu che macchiavi quell’anima”.
Maria Josè Siri è Amelia, sua coniuge nella finzione. Splendide le sue arie, con acuti sicuri e filati precisi. Nella recitazione forse un po’ rigida, ma questo non mette in ombra l’innegabile talento della soprano.
Una sola apparizione in scena è quella di Ulrica, in questa serata interpretata da Anna Maria Chiuri. Voce brunita ai limiti del contralto, è uniforme sia negli acuti che nei numerosi affondi nella voce di petto presenti nella sua parte. La sua presenza scenica e la linea di canto hanno “stregato” gli spettatori; meritatissimi gliapplausi sia alla fine della sua interpretazione che nei saluti finali.
Enkeleda Kamani è Oscar. Dopo un inizio leggermente in sordina, nel prosieguo dell’opera con fascino e disinvoltura ha sfoggiato un brillante strumento vocale elastico e duttile, anche nella coloratura, morbida ma ineccepibile.
Bene anche Fabio Previati (Silvano), Romano dal Zovo (Samuel), Salvatore Schiano di Cola (Un giudice/Un servo di Amelia) insieme all’ottimo Nicolò Donini (Tom).
Bravissimi come sempre gli artisti del Coro della Fondazione Arena di Verona, diretti da Roberto Gabbiani. In questa serata in particolare abbiamo particolarmente apprezzato il comparto maschile, specie nel primo atto.
Uno spettacolo dunque molto godibile, lunghi applausi per tutti.
Federico Scatamburlo
La recensione si riferisce alla recita di domenica 17 dicembre 2023
Photo©Ennevi
“Questa prima di Un Ballo in Maschera è dedicata al maestro Julian Kovatchev, scomparso prematuramente in Corea poche settimane fa: apprezzato dal pubblico, critica e colleghi come artista e persona, per oltre 150 serate alla guida dei complessi artistici areniani, debuttò a Verona proprio nel 2002 dirigendo quest’opera.”